Durante le azioni di protesta contro il genocidio in atto in Palestina uno studente sarebbe stato colpito al volto mentre manifestava per il blocco del porto di Napoli alle navi cariche di materiale pericoloso, presumibilmente a supporto dell’azione isrealiana.
Napoli si ferma per la Palestina e soprattutto per dirsi contraria all’uso delle proprie infrastrutture a supporto di un genocidio come quello palestinese.
È uno sciopero che ha coinvolto tutti i settori, che ha paralizzato i trasporti e che ha acceso nelle piazze una rabbia civile. Ma ciò che lascia più sgomenti è la notizia di uno studente che, nel corso del corteo, è stato colpito da un manganello in pieno volto.
Le ripercussioni sulla città sono immediate: treni cancellati e ritardi — anche alla stazione centrale — bus e tram con servizio ridotto, linea 1 della metropolitana ferma “per motivi tecnici”, mentre la linea 2 rimane attiva con limitazioni.
I varchi di ingresso alla stazione centrale erano pochi e controllati. In molti casi, riporta ANSA.it, cittadini e pendolari si sono ritrovati a subire disagi che sono parte del costo di eventi di questa portata.
Ma il vero dramma, oggi, si concentra su quella ferita. Ieri, 2 ottobre, durante un corteo, uno studente è stato colpito da un manganello al viso. Un corteo che si dirigeva verso il porto di Napoli tentando di impedire, pare, la nave MSC Edith II proveniente da Haifa.
Il risultato: una frattura scomposta al naso, una prognosi di trenta giorni, e la quasi perdita dell’occhio: pochi centimetri hanno evitato il peggio.
Non è un numero astratto: è un ragazzo che è sceso in piazza con la convinzione che restare in silenzio significhi complicità. È un volto ferito soggetto al dolore materiale e simbolico.
Secondo testimonianze raccolte da Insurgencia e riportate sempre dall’agenzia ANSA.it, la gestione dell’ordine pubblico è stata definita “imbarazzante”, perché permettere che una persona in divisa, armata di manganello, colpisca un volto è una sconfitta per tutti.
Gli studenti, insieme ai lavoratori e alle realtà sociali, hanno dichiarato che non intendono fermarsi: vogliono scuole libere dalla militarizzazione, un impegno reale contro la guerra e la dignità di chi manifesta.
Oggi Napoli protesta per Gaza, per i diritti, per la pace. Ma non possiamo dimenticare che, fra le urla e i cortei, c’è un ragazzo ferito, e quella ferita non è soltanto sua: è ferita collettiva, ferita politica, ferita civile.
È un monito per chi dirige l’ordine pubblico: chi usa la forza contro chi chiede verità tradisce il proprio compito. È un grido per chi resta a guardare: partecipare non è solo marciare, è assumersi responsabilità. Che Napoli oggi cammini — con rabbia, con dolore — con la dignità che la contraddistingue da sempre.