Ha emozionato i napoletani il discorso di Michele Serra, noto giornalista e autore televisivo italiano, che intervenuto alla trasmissione Che Tempo che Fa ha voluto omaggiare la città di Napoli celebrando la vittoria dello scudetto e pronunciando parole in ricordo di Diego Armando Maradona che hanno commosso la platea partenopea.
Ha iniziato il suo intervento passando in rassegna il carico di stereotipi che ancora si legano alla città: “Di Napoli non bisognerebbe mai parlare perché come si parla di Napoli si inciampa in un luogo comune e si sprofonda nella retorica”.
“Ci sono dei pezzi famosi di Massimo Troisi a proposito dei luoghi comuni su Napoli. Il sole, il mare, le canzoni, la pizza, la chitarra, il mandolino e naturalmente ‘o presepe, Maradona che è meglio di Pelè, il teatro. Quando si parla di teatro bisogna sempre ricordare di dire che i napoletani sono bravissimi a fare teatro perché Napoli è già un grande teatro. Stavo dimenticando la camorra che è diventata una fiction seriale e un successo mondiale. Anche se francamente ci rintrona con tutti quegli spari, è un po’ripetitivo come genere, un luogo comune anche quello“.
Si dice, poi, estremamente gioioso del successo del Calcio Napoli pur non essendo un tifoso azzurro: “Io non lo volevo proprio fare questo mio discorsetto sullo scudetto del Napoli poi però mi sono fatto una domanda. Io con Napoli non c’entro niente, sono nato a Roma e cresciuto a Milano, sono interista dalla seconda elementare. Perché allora sono così contento dello scudetto del Napoli? Che me ne importa degli scudetti degli altri? Di che mi impiccio?
“La risposta è semplice. Lo scudetto del Napoli non è solo napoletano, è una cosa che arriva un po’ a tutti inevitabilmente, perché Napoli nell’immaginazione di chiunque, anche di chi non c’è mai stato, è una città mondo. E’ una specie di condensato della vita, esprime il caos, la dannazione, la volgarità, le tenebre della malavita e al tempo stesso incarna il talento, l’arte, il miracolo. Sembra quasi come se non esistessero le virtù mediane a Napoli: o il lutto o il trionfo, o la caduta o il colpo di genio”.
“Il trionfo di Spalletti e De Laurentiis e soprattutto di quella squadra così bella è prima di tutto il frutto di un grande lavoro. E dunque esistono le virtù mediane a Napoli perché a costruire le vittorie non sono mai i miracoli, le grazie ricevute, non basta inginocchiarsi e affidarsi ai Santi né a Napoli né altrove”.
“La sola forma di ribellione che può avere successo è la tenacia umana, la forza delle persone. Una volta che hai detto che la strada per la vittoria è uguale ovunque, che servono molta pazienza e molto lavoro, non hai ancora detto niente su cosa significa la vittoria quando arriva proprio a Napoli”.
“In altri posti si vince quasi per abitudine, fa parte del bilancio aziendale di una sicurezza già conquistata. A Napoli la vittoria è ancora un rovesciamento della sorte, un colpo di teatro, un colpo inflitto alla morte. E’ una rivoluzione contro la sconfitta. E’ scoprire che la vita è così forte che niente può piegarla”.
Infine, su Maradona: “Io ai miracoli non ci credo proprio, non credo in Dio, figuratevi a San Gennaro. Però Maradona è esistito per davvero, l’ho anche toccato nell’86 ai mondiali del Messico. Ma per definire il suo gioco si era costretti a ricorrere a categorie sovraumane. Quando Napoli lo ha fatto Santo non c’era proprio nulla di religioso, è semplicemente accaduto che a furor di popolo Napoli ha deciso di renderlo eterno, napoletano per tutti i secoli a venire“.
“Quando Maradona è morto, a Napoli avevano già provveduto a dargli la vita eterna. La morte è arrivata troppo tardi per cancellarlo e difatti lui è ancora lì che vive a Napoli. Lo ha fatto capire Luciano Spalletti che crede sicuramente nel lavoro ma forse un poco anche nei miracoli”.