Cultura

Giambattista Vico, il napoletano che cambiò il modo di vedere il mondo

Napoli ha sempre generato menti brillanti, inclini al pensiero ed alla ricerca ed aperte ad ogni tipo di conoscenza. Questo perché la città è stata, sin dalla sua fondazione, il luogo di incontro di popoli e culture di ogni tempo, crocevia di idee provenienti da tutti gli angoli del mondo. I napoletani nascono conservando questo importante retaggio, spronati da tradizioni millenarie e pensieri immortali.

Giambattista Vico (Napoli, 23 giugno 1668 – Napoli, 23 gennaio 1744) è stato una di queste menti brillanti che hanno cambiato per sempre il modo di vedere e concepire il mondo e la storia. Nacque il 23 giugno del 1668 in un’umile casa in San Biagio dei Librai, a Napoli, dove, ancora oggi, una targa lo commemora. Il padre, Antonio Vico, era un libraio e possedeva una piccola bottega sotto casa, mentre la madre, Candida Masulla, era figlia di un costruttore di carrozze.

È lo stesso Vico a raccontarci la sua vita in un’autobiografia scritta nel 1728. Inizialmente era un bambino vivace, mai fermo, ingestibile, fino a quando un grave incidente lo cambiò completamente: una violenta caduta gli provocò una frattura al cranio. I medici sostennero che la lesione gli avrebbe causato gravi problemi intellettivi, ma, di fatto, il bimbo divenne solo molto più chiuso ed introverso.

Giambattista conservò questo “nuovo” carattere anche in età adulta, venendo considerato dai più con un carattere “malinconico ed acre”, poco incline ai divertimenti e con interessi discontinui. Tendeva, infatti, a disprezzare gli studi scolastici, preferendo molto di più istruirsi da autodidatta: in questo, la bottega del padre fu un valido supporto per trascorrere nottate insonni fra gli antichi volumi custoditi. Si iscrisse alla facoltà di Giurisprundenza della Federico II di Napoli più per accontentare il padre che per reale interesse ed, infatti, non frequentò mai i corsi. Tuttavia, si appassionò agli studi di diritto civile e canonico, che perfezionò sempre in privato, laureandosi nel 1694 forse a Salerno.

Gli studi giuridici avevano fatto comprendere a Vico l’importanza del diritto nella storia dell’uomo e lo aiutarono a sviluppare la sua peculiare filosofia. Tuttavia, dopo l’università, seguì un periodo davvero buio per l’uomo e le sue finanze, costretto a fare da precettore per tirare avanti. Nel 1699 ottiene la cattedra di retorica all’università di Napoli e, finalmente, poté permettersi di prendere in affitto una piccola casa in vico dei Giganti e metter su famiglia. Si sposò con Teresa Caterina Destito, dalla quale avrà 8 figli.

La vita familiare, i problemi economici,”lo strepitio de’ suoi figlioli” non consentiranno a Vico di concentrarsi sui suoi studi, ma gli lasceranno comunque la forza per meditare sulle sue idee. Anche dopo la pubblicazione di “La Scienza Nuova”, sua opera principale, il pensatore non trovò la stabilità economica: l’argomento trattato era così avanti rispetto al pensiero del tempo da non essere compreso dai colleghi e dai circoli culturali. Vico non ricevette mai, in vita, gli onori per la sua mente brillante, nemmeno dopo che Carlo di Borbone lo nominò, nel 1732, storiografo regio.

Scienza Nuova, Giambattista Vico

Con l’avanzare dell’età i malanni legati all’antica frattura iniziarono ad acuirsi, portando il filosofo a non poter più muoversi e ad avere frequenti e gravi perdite di memoria che non gli facevano riconoscere nemmeno i figli. Morì il 20 gennaio del 1744, nella sua casa a Napoli, durante l’estrema unzione.

Il lascito più importante al mondo è stato il suo pensiero sulla storia. Vico si oppose strenuamente alle teorie dilaganti al suo tempo, come quella aristotelica che poneva Dio al centro del mondo, come forza creatrice. Il filosofo napoletano pone l’uomo al centro della creazione poiché è la nostra civiltà che, con i fatti, ha plasmato la storia. Dio entra in questo percorso come Provvidenza, intervenendo per guidare l’uomo nella creazione, muovendo i suoi passi secondo un percorso ben preciso, scritto nel tempo.

L’uomo, dal canto suo, interpreta la direzione di Dio grazie all’ingegno, che Vico definisce “la facoltà propria del conoscere… per cui l’uomo è capace di contemplare e di imitare le cose”. Eppure, la storia, questa creazione dell’uomo, secondo il filosofo si ripete incessantemente attraversando fasi ben precise, dei corsi entro i quali tutto si incanala e prosegue secondo la volontà suprema: i “corsi e ricorsi storici” che hanno reso celebre la filosofia di Giambattista Vico.