Cultura

Feste, farina e forca: le tre F di Ferdinando per governare il popolo napoletano

Napoli – Governare un intero popolo non è mai stata cosa facile specialmente in tempi in cui c’era un divario forte fra chi comandava, ad esempio un re, e chi obbediva. Una difficoltà resa evidente dalle numerose rivolte, prima fra tutti la Rivoluzione Francese, conclusesi con teste mozzate e spargimenti di sangue blu. Ferdinando di Borbone, nonostante i suoi modi da popolano ed il suo disinteresse nella politica, questi problemi li conosceva bene e gli divennero ancor più chiari con la Repubblica Napoletana del 1799.

Molti storici, fra i quali il romanziere e giornalista francese Alexandre Dumas, raccontano che il re Nasone avesse una regola precisa con cui trattare il popolo napoletano, conosciuta come le “tre F di Ferdinando”: feste, farina e forca. Il popolo per prima cosa va distratto con continui festeggiamenti: funzioni religiose, balli, spettacoli gratuiti in grado di allontanare lo sguardo dai problemi reali, creare aggregazione e, soprattutto, far provare gratitudine per i governanti. Una realtà che si potrebbe riscontrare anche nella nostra epoca considerando come, alla luce di un importante evento sportivo o televisivo, problemi politici o economici passino in secondo piano nei discorsi comuni.

Un popolo che non si ribella è anche un popolo che riesce a mettere il pane sulla tavola tutti i giorni: nonostante i bei discorsi, le lotte di classe, le ideologie e la voglia di libertà le rivoluzioni scoppiano sempre e solo quando la gente è disperata ed arrabbiata con i potenti. Se i napoletani continuavano a mangiare maccheroni, Ferdinando poteva esser convinto che nessuno avrebbe rischiato vita e benessere per un incerto ideale. Forse, il motivo per cui nel mondo “civilizzato” le rivolte si limitano a cortei ed eventi su Facebook è proprio che, nonostante la crisi, la nostra è un’epoca di benessere dove qualche moneta per il pane si trova sempre.

La forca era la paura che, sempre e comunque, i sudditi devono provare nei confronti dell’autorità: divertenti le feste, bello mangiare, ma un monarca deve far rispettare i suoi ordini e le leggi. Per questo le esecuzioni venivano svolte in pubblica piazza, in presenza di tutta la cittadinanza: tutti dovevano assistere, tutti dovevano comprendere cosa succedeva a chi andasse contro l’ordine costituito. Da un certo punto di vista, però, la forca assumeva un compito simile alla festa divenendo un altro momento di aggregazione, un modo per far sentire tutti i cittadini onesti parte di una comunità stabile e sicura. Non a caso, ancora oggi, i programmi più visti in TV sono quelli in cui si parla di processi e delitti particolarmente sentiti.

Insomma, l’illuminato Ferdinando aveva solo scoperto ed ammesso una verità assoluta. Non dimentichiamo, tuttavia, che le pubbliche esecuzioni sono state il deterrente ai crimini più in voga in tutta Europa, dunque quella napoletana non era un’eccezione, visto che nelle altre nazioni si faceva esattamente la stessa cosa “in ossequio” a un’usanza radicata da millenni.

I romani, ad esempio, già conoscevano simili mezzi di controllo: non a caso i giochi gladiatori venivano offerti da possidenti e magistrati della città per essere gratuiti anche per la plebe. A Giulio Cesare si attribuisce un detto molto simile a quello del nostro monarca borbonico: “panem et circenses” (pane e spettacoli). Guardando avanti, invece che al passato, possiamo ancora notare come il nostro mondo segua regole troppo simili.