Nel settembre del 1860 anche a Montemiletto giunse l’azione dei liberali che nel nome di Garibaldi occuparono la cittadina e rovesciarono le istituzioni borboniche con la violenza. A tale abuso la popolazione del posto rispose con risolutezza. Si ebbe la sollevazione di tutto il paese guidata da Matteo Lanzilli e Carmine Ardolino. Un manipolo di contadini entrò nel palazzo di Giuseppe Fierimonte, leader dei liberali e capitano della locale Guardia Nazionale, uccidendo il Fierimonte stesso ed altri 23 liberali. Il giorno successivo esportarono la loro rivolta anche presso i paesi limitrofi al grido di ”viva Francesco II”. La mattina del 7 settembre però i garibaldini entrarono nel paese e non solo arrestarono i rivoltosi, ma si vendicarono sulla popolazione inerme che aveva osato ribellarsi. Lo stesso giorno Giuseppe Garibaldi faceva il suo trionfale ingresso a Napoli. A causa di quella rivolta furono incriminati quasi 500 persone. In moltissimi vennero arrestati e fatti giustiziare.
Malgrado la grave battuta d’arresto i rivoltosi non si lasciarono intimidire. Non solo crebbe la loro consapevolezza come legittimisti ma migliorò anche la loro organizzazione strategico-militare grazie anche alla presenza, tra le loro fila, di ex soldati dell’esercito duosiciliano. Le figure guida della resistenza divennero Basilio Pagliuca e Gaetano Maria Baldassarre, già attivo nella prima rivolta del settembre 1860. Il Baldassarre fu l’anima della rivolta, teneva le riunioni organizzative, incoraggiava i legittimisti e diffondeva idee insurrezionali facendo circolare manifesti ostili a Garibaldi e al governo sabaudo.
Già nei primi giorni del gennaio 1861 il governatore di Avellino, Nicola De Luca, venne avvisato della rivolta imminente. Poco dopo a Montefalcione venne issato il vessillo borbonico. La mattina del 6 luglio il sindaco della cittadina, intimidito dai rivoltosi, acconsentì alla distruzione delle insegne sabaude, al loro posto tornò a sventolare la bandiera del Regno delle Due Sicilie. Il governo di Casa Savoia venne dichiarato decaduto a favore di quello borbonico. Dopo questo evento la reazione piemontese non tardò. In un primo momento venne tentato l’assalto a Montefalcione da un manipolo di uomini che però fu costretto a ritirarsi. Sull’onta di questo successo anche altri comuni adiacenti insorsero e distrussero gli emblemi sabaudi.
Fu il De Luca a tentare la riconquista di Montefalcione con una schiera di uomini che fece irruzione nel paese che però respinse l’iniziativa, costringendo i filosabaudi all’assedio in un monastero. Gli insorti li misero in ginocchio, la vittoria avrebbe aperto loro le porte di Avellino, ma proprio quando stavano per capitolare, la mattina del 9 luglio, giunsero in soccorso dei liberali tre battaglioni della legione ungherese del Regio Esercito Italiano. Dopo alcune ore di resistenza gli insorti sciolsero l’assedio e si diedero alla fuga. Venne dato avvio ad una terribile rappresaglia con fucilazioni indiscriminate che si protrassero fino a notte fonda. Chi riuscì a fuggire venne inseguito e fu vittima di un’azione di rastrellamento che durò fino al 14 luglio. Dopo la carneficina il tricolore italiano venne issato sul campanile della chiesa di Montefalcione dove fino a poco tempo primo sventolava il vessillo duosiciliano. Lo stendardo borbonico venne nuovamente ammainato ma questa volta in maniera definitiva.
Fonti:
Giacinto de’ Sivo, Storia delle Due Sicilie 1847-1861.
Gigi Di Fiore, Controstoria dell’unità d’Italia: fatti e misfatti del Risorgimento.
Edoardo Spagnuolo, La rivolta di Montefalcione. Storia di un’insurrezione popolare durante l’occupazione piemontese.