Il romanzo descrive che la peste si diffuse in altre località prima di arrivare a Milano nel novembre 1629. Ma gli ammonimenti di chi l’aveva già vissuta non furono prontamente accolti. I medici milanesi furono presi alla sprovvista, impauriti da una malattia ignota che non riuscivano a decifrare. Stiamo parlando del Seicento, eppure questi racconti non ci suonano nuovi. Il coronavirus è arrivato in Italia dopo essersi diffuso esponenzialmente in Cina. Ma anche nel nostro caso le notizie che ci sono arrivate non sono bastate a farci cogliere preparati. I nostri eroi, l’intero personale sanitario, si è trovato dinanzi un qualcosa che non seguiva alcuna logica nota.
La quarantena descritta nelle pagine romanzesche come un’avvilente sofferenza, fornisce un’attuale definizione a una circostanza che abbiamo vissuto a nostro malgrado.
I promessi sposi mostrano un’altra difficile realtà con la quale ci siamo scontrati: il negazionismo. Molti tra gli abitanti della seicentesca Milano ritenevano che la peste fosse frutto di una congiura internazionale e diffusa da commissionati untori. La descrizione della pulizia delle panche del Duomo di Milano dai germi del morbo, evoca nelle nostre menti un’immagine emblematica dell’odierna pandemia: le sanificazioni.
Le distanze storiche e temporali tra le due vicende sembrano dunque annullarsi.