Cultura

L’amore dei polacchi per le città vesuviane: “Ma perché o cielo, non mi fu dato di vivere a Pompei”

Gli scavi archeologici di Ercolano (1738), di Pompei (dal 1748) e di Stabia, odierna Castellamare di Stabia (dal 1749), portarono alla scoperta di numerosi dipinti, sculture ed altre opere d’arte che nella seconda metà del Settecento e durante l’Ottocento sarebbero stati ammirati in diverse parti del mondo. In particolar modo, i polacchi furono notevolmente affascinati dalle città vesuviane.

L’amore dei polacchi per le città vesuviane: affreschi e ricostruzioni

Padiglioni, tavoli, piatti, tazzine si ornavano, dunque, dei motivi rinvenuti nelle città vesuviane. Nei saloni dei palazzi e delle ville palladiane, come a Mała Wieś nei pressi di Varsavia, vennero dipinti affreschi con il Vesuvio in fiamme e nei giardini  vennero anche costruiti vulcani artificiali che sbuffavano lava e fuoco per il divertimento degli ospiti.

Nella Dissertazione sul giardinaggio inglese del 1774, August F. Moszyński, grande economista e dispensiere del regno di Polonia, si dilungò sulle magnifiche ricostruzioni del golfo di Napoli:

La collina artificiale là in fondo, in mezzo alla scena, rappresenta il Vesuvio. Pietre
calcinate e torrenti di lava alludono alle eruzioni. Si sale in cima per pigiare in un
intaglio i fuochi d’artificio che di notte faranno fiamme, e di giorno copia di fumo. In
qualche anfratto sono state celate le macchine che con i magli dei fabbri producono
boati vesuviani, assordanti da sembrar veri. Un cratere davanti alla grotta […] da
dove si vede una fucina infuocata. Quattro automi, quattro ciclopi, quattro giganti
seminudi si accaniscono su lingotti di ferro; un uomo, uno solo in carne e ossa […]
attiva macchine e mantici che è possibile udire al momento della messa in posizione
dei congegni a comando dei magli.

Il fascino della Campania: “Ma perché o cielo, non mi fu dato di vivere a Pompei”

Dalla metà del Settecento in poi numerosi polacchi visitarono Napoli. Alcuni non si accontentavano di semplici guide, libri e opuscoli sugli scavi, ma andavano a spulciare grandi manuali, rivelandosi spesso anche studiosi dei classici.

La tragedia delle città vesuviane ebbe un grande impatto nella politica della spartizione della Polonia nell’ultimo quarto del Settecento da parte della Russia, della Prussia e dell’Austria. Julian U. Niemcewicz, uno dei più illustri polacchi dei tempi dell’Illuminismo, nelle sue Memorie, scrisse: Ma perché o cielo, non mi fu dato di vivere a Pompei, e di esservi sommerso: non assisterei oggi alla morte della patria”.

Nelle stesse Memorie, Niemcewicz scrisse:

Quasi mezzo secolo dopo aver visto Pompei, quando nel 1825 venne a Varsavia un
artista itinerante con panorami di luoghi singolari, ne ero ancora così impressionato che
passai quasi un’ora seduto davanti a una veduta della sola Pompei, disdegnando tutte
le altre […] Secondo me è uno dei più interessanti monumenti del mondo antico.

Il Vesuvio: “Chi non l’abbia visto, non potrà capirlo”

Anche Henryk Hektor Siemiradzki (24 ottobre 1843 – 23 agosto 1902), pittore polacco, ricordato per la sua monumentale arte accademica, fu incredibilmente affascinato dal Vesuvio, così come testimoniano la sue parole:

Lo spettacolo della città scomparsa e da poco
riesumata, e del Vesuvio, perenne minaccia
di morte per qualunque cosa osi spuntare nei
suoi dintorni, era così insolito, di così grande
stimolo per la mia fantasia e i miei sogni, che
non mi provo a descriverlo. Chi non l’abbia
visto, non potrà capirlo.

 

 

Fonti:

Jerzy MizioŁek, Atti dell’Accademia Polacca 1 (2009-2010) (2012), S. 11-31