Cultura

Giovan Battista Bergazzano: lo scrittore che ha raccontato l’eruzione del 1631

Tra fine Cinquecento e inizio Seicento è esistito un autore che ha fatto della tragica eruzione vesuviana del 1631 la sua più grande fortuna: Giovan Battista Bergazzano.

Giovan Battista Bergazzano: la biografia

Ignoto per molti, la biografia e l’operato letterario di Giovan Battista Bergazzano sono emersi recentemente grazie agli studi condotti da Giuseppina Scognamiglio, studiosa e docente di Letteratura teatrale italiana all’Università degli Studi di Napoli Federico II. Secondo quanto fuoriuscito dalle ricerche d’archivio della professoressa, da lei riportate e sistematizzate nel testo Giovan Battista Bergazzano e il risveglio violento del Bello Addormentato nel 1631, Giovan Battista Bergazzano è nato nel 1576 probabilmente a Castellammare di Stabia.

Divenuto nel 1628 barbiere presso i Caracciolo di Avellino, una importante famiglia della nobiltà napoletana, potè approcciarsi al mondo altolocato e colto della capitale partenopea. Ma la fama di Bergazzano deriva dall’aver reso poesia la disastrosa eruzione vesuviana del 1631. Il trittico poetico dedicato all’eruzione sub pliniana, dunque l’eruzione successiva a quella del 79 d.C vissuta  da Plinio il Vecchio e raccontata dal nipote Plinio il Giovane, ha rappresentato una vera e propria innovazione e peculiarità della letteratura vesuviana.

IL TRITTICO POETICO DEDICATO ALL’ERUZIONE DEL 1631

Il trittico poetico è composto da: Vesuvio fulminante, un poemetto didascalico che fornisce una originale esplorazione dell’evento vulcanico con una chiara interpretazione cristiana dell’accaduto, riconducendo la causa della disastrosa eruzione a una condanna e punizione divina contro la corruzione morale dei napoletani; prieghi di Partenope, un idillio che si apre con un sonetto dedicato a San Gennaro, narra nella prima parte le fasi che precedono l’eruzione attraverso gli occhi del pescatore Tirreno, in seguito l’attività disastrosa del Vesuvio e in fine una consequenziale preghiera fatta dalla città di Napoli personificata dalla Sirena Partenope; Bacco arraggiato co Vorcano, poemetto che si contraddistingue dagli altri due grazie all’ambientazione mitologica, il tono ludico-ironico, la struttura dialogica, ma soprattutto l’utilizzo del dialetto napoletano.

Infatti, quest’ultima opera della trilogia fu pubblicata in occasione del carnevale, con lo spiccato intento di fare ironia sul tragico evento che le città vesuviane si erano oramai lasciate alle spalle. Il testo si articola in un simpatico dialogo tra Bacco, dio del vino, e Vulcano, dio del fuoco e dunque il Vesuvio: Bacco è adirato con Vulcano, poiché con la sua eruzione gli ha distrutto i preziosi vigneti che si trovavano lungo le pendici vesuviane. Vulcano si difende, dicendo di essere stato ordinato da Giove, per distruggere la causa della perdizione morale, ovvero il vino.

IL VESUVIO: UNA MERAVIGLIA A OROLOGERIA

Vesuvio fulminante, I prieghi di Partenope Bacco arraggiato co Vorcano si sviluppano in un panorama letterario fortemente attratto dallo spettacolo al contempo magnifico e terrificante che il Vesuvio offriva. Nei secoli successivi alla celebre eruzione del 79 d.C, infatti, e soprattutto in concomitanza con le prime scoperte effettuate a Pompei ed Ercolano, si focalizzò un’attenzione mediatica intorno all’attività del celebre vulcano napoletano.

Letterati, pittori, scultori e poeti speravano di poter assistere alla massima espressione del Vesuvio, così da poterla raccontare con la propria arte. Uno dei più fortunati rimandi letterari al vulcano partenopeo è senz’altro quello scritto da Leopardi nella sua Ginestra, dove lo definisce “Sterminator Vesevo”. Ma il Vesuvio continua a esercitare il suo pauroso fascino ancora oggi, come ci testimonia la celebre dichiarazione dello scrittore Erri De Luca durante un’intervista rilasciata all’ANSA: “Il Vesuvio è una meraviglia a orologeria”.