Il busto di San Gennaro durante la processione degli Infrascati
Come ormai ogni anno dal 1389, oggi si rinnova (o almeno si spera che si rinnovi) uno dei rituali più famosi, sentiti, discussi in assoluto. Che ci si creda o meno, che si dia adito alla scienza o che ci si faccia avvolgere dal mistero della devozione, è impossibile rimanere indifferenti davanti al prodigio di San Gennaro.
Anzi probabilmente nulla identifica, si trasforma in vera e propria misura del popolo partenopeo quanto il legame che quest’ultimo ha con tale evento e con la figura del Santo. Napoli e San Gennaro. San Gennaro e Napoli. Sembra quasi di pronunciare la stessa parola.
Sarà per il tono diretto, amichevole, a tratti addirittura scurrile e dissacrante, con il quale i fedeli gli si rivolgono. O forse sarà il rito che guarda ad una rinnovata speranza, sempre uguale in una città che si divide tra una continua evoluzione ed un passato dal quale non riesce a staccarsi del tutto.
Per fortuna, alle volte. Purtroppo, in altre. O forse sarà proprio l’alone di mistero, il sacro e il profano che s’intrecciano e danno vita ad un’esperienza tanto umana quanto surreale. Comunque sia, c’è da dire che i napoletani sembrano essere convinti di sapere tutto del proprio beniamino. Ma è realmente così?
Partiamo dal nome: siamo sicuri che si chiamasse Gennaro? In realtà, il vescovo le cui reliquie sono conservate nel Duomo si chiamava Publius Faustus. Ma allora da dove deriva il nome attuale? Ci sono varie tesi. Una prima spiegazione vuole che il nome Gennaro derivi da Giano, una divinità romana il cui culto era molto presente nell’antica Neapolis. Orbene la peculiarità di Giano era il suo essere “bifronte”, cioè possedere un doppio volto: uno maschile, a simboleggiare la forza bellica, ed uno femminile a rappresentare invece la distensione e la pace.
Tale teoria sarebbe suffragata dal dato per cui Gennaro in verità non è l’unico patrono principale della città. Questi, infatti, condivide l’arduo compito proprio con una donna: Santa Patrizia (i patroni di Napoli sono 52 in tutto). E non tutti sanno che anche quest’ultima, le cui reliquie sono custodite nella chiesa di San Gregorio Armeno, ripete di anno in anno il prodigio del sangue ogni 25 di agosto.
Altri studiosi invece ne trovano l’origine nell’etimologia del nome della sirena Partenope. Secondo gli antichi, il sole risplendeva nella costellazione della Vergine (in greco parthenos) durante il mese di gennaio, che in latino diventa ianuarius e da qui in definitiva deriverebbe l’appellativo del Santo.
Nonostante le suggestive tesi sopra esposte, quella che oggi sembra essere la più accreditata fa capo alla mera appartenenza familiare. Gennaro, infatti, avrebbe fatto parte della nobile gens Ianuaria, una delle più illustri della Campania romana.
Ha quasi dell’incredibile poi il fatto che San Gennaro (da vivo) non abbia mai messo piede a Napoli. Egli, con molta probabilità, nacque a Benevento nell’anno 272 D.C. e vi divenne vescovo in giovane età. Accorso a Pozzuoli per prestare aiuto ai locali perseguitati cristiani, lì vi trovò il martirio nel 305 nei pressi della Solfatara.
Dunque, fu solo una volta che la pia Eusebia riuscì a raccogliere parte del suo sangue nelle celeberrime ampolle che i resti di Gennaro riuscirono a far tappa in città, per la precisione nelle catacombe che ancora oggi portano il suo nome.
In seguito, dopo una serie di vicissitudini, come saccheggi e spostamenti, le reliquie hanno trovato sede definitiva nella Cattedrale di Santa Maria Assunta, cioè il Duomo di Napoli. Correva l’anno 1497 e ne erano trascorsi più di mille dalla sua morte.
A proposito di Pozzuoli, il 19 settembre di ogni anno anche nella città flegrea rivive un culto simile a quello napoletano. Nel Santuario di San Gennaro presso la Solfatara si conserva ancora quella che molti credono essere la pietra sulla quale si consumò il suo martirio.
Su di essa sarebbero tutt’oggi visibili alcune macchie di sangue, le quali si colorerebbero di un rosso vivo al ricorrere del giorno in cui la Chiesa celebra il vescovo. Su tale prodigio negli anni però sono stati riposti molti dubbi, tanto da far pensare che si trattasse di una banale vernice e che quindi ci si trovasse dinanzi ad un falso, probabilmente di fattura rinascimentale. Nonostante ciò, nella città in cui San Gennaro vide il sole sorgere per l’ultima volta molti credono di custodire una delle sue reliquie più importanti e la venerano come tale.
Seppur quando se ne parla il pensiero vada subito a Napoli, va specificato che quest’ultima condivide con tanti il suo patrono. Basti pensare non solo a molte città campane come Somma Vesuviana, San Gennaro Vesuviano, Afragola, Cercola e Torre del Greco, ma anche agli orafi di tutto il mondo, il cui mestiere è protetto proprio dal santo partenopeo.
Se si pensa per un attimo al valore inestimabile del suo Tesoro, si capisce subito il perché. Fa poi sorridere come egli sia anche il patrono dei donatori di sangue (e chi sennò?).
Ed in ultimo, se ci si ricorda del modo colloquiale ed aperto con cui i fedeli si rivolgono alle sue effigi, più in passato e soprattutto i ceti popolari, non sorprende che un tempo San Gennaro fosse anche il preferito di coloro che chiedevano l’intercessione per la buona riuscita di un furtarello o per la vittoria di una schedina. Qui la mente non può non rivolgersi alla celebre scena della Smorfia, in cui Massimo Troisi dileggia il “povero” Lello Arena reo, a suo dire, di aver chiesto al Santo un piacere troppo venale.
In ultimo, nonostante la partecipazione nella sua città d’adozione (ormai così dobbiamo dire) basti per un pianeta intero, va ricordato che il venerato vescovo è uno dei santi più celebrati al mondo. Famose sono le feste che in suo onore si tengono in molte città degli Stati Uniti, come ad esempio a Mulberry Street, la “Little Italy” di Manhattan, le cui celebrazioni durano più di una settimana e sono diventate il simbolo dell’orgoglio italo-americano.
Festeggiamenti analoghi si possono trovare a Buenos Aires, San Paulo, Montevideo, Parigi. A San Lorenzo dell’Escorial, nella regione iberica della Castiglia, i rappresentanti della locale parrocchia sostengono di conservare anche loro un’ampolla di sangue, scampata chissà come ai vari traslochi.
In Germania, precisamente sull’isoletta lacustre di Reichnau, un borgo che per circa cinquantuno settimane consecutive vive una vita quasi anonima, si anima nel periodo che precede la festa di San Gennaro. Qui i discendenti dei vecchi immigrati italiani, unitamente alla gente del luogo, danno vita ogni anno ad una festa che è il trionfo dell’accoglienza e della commistione delle culture che la compongono.
Così non è difficile assistere al passaggio della processione, con tanto di banda musicale e statua, davanti alle case in perfetto stile bavarese. Oppure non lo è nemmeno sorseggiare un’ottima birra mentre si gusta un piatto di ragù napoletano o di polpette, con in sottofondo i canti della tradizione locale alternati alle canzoni napoletane.
Insomma, un uomo diventato santo, o forse di più, un mito o una vera e propria icona pop, non può che continuare a stupire per via di tutto ciò che ancora ha da raccontare. Continua ad essere un nostro agio, sia che siamo credenti o meri spettatori di uno rito ancestrale, stupirci e permettere a chi verrà dopo di noi di stupirsi a sua volta.