E “mangiatevela” un’emozione! Pensieri sparsi di una napoletana a Milano

Parto subito con un presupposto: non sono tra quelle persone che cantano “avete solo la nebbia”, stile cori da stadio. Milano, per motivi miei personali, è una città a cui sono molto legata, per cui non passo certo il tempo a criticarla. Però, proprio mentre trascorrevo questi tre giorni a 800 km da casa, ho pensato che avrei voluto buttar giù due righe, perché (lo dicevano sempre a scuola) scrivere fissa meglio i concetti.

La prima cosa che ho pensato, una volta scesa dal treno, non è stata in realtà una “cosa pensata”, ma piuttosto una sensazione provata:

C-H-E F-R-E-D-D-O.

A Napoli, quando proprio va malissimo, raggiungiamo i 3 gradi notturni. Ed io la notte sono a casa sotto alle coperte, non so voi.

Scesa dal treno, dicevo, mi dirigo verso la metro con la mia valigia e le mille buste e bustarelle degne di una vera napoletana un po’ caotica. I trasporti pubblici sono forse la più grande qualità di Milano, non posso negare di aver aspettato il treno al massimo 2 minuti e viaggiato seduta e senza calca intorno.

Comunque, arrivo a destinazione, esco dalla stazione per dirigermi nel mio b&b. Esco, e cosa vedo? Nulla. Intorno a me solo nebbia. Di tanto in tanto, pochi metri più avanti o più indietro, spunta qualche sagoma scura. Sembrava Silent Hill! Fortuna che non erano zombie…

Nel b&b il tizio della reception è stato particolarmente “simpatico”. A Milano hanno un’ironia piuttosto strana. Quando gli ho chiesto se dovessi firmare qualcosa, lui mi ha risposto “sì, la condanna a morte”. E ha riso. E pure io ho riso, ma solo perché sono educata. Potrei raccontarvi anche altri episodi, ma vi assicuro che proprio non ci riescono ad essere originali!

Comunque, passiamo ad un altro capitolo delicatissimo: il cibo. Nonostante non sia una grande forchetta,
credo che come si mangia a Napoli non si mangi in nessun altro posto del mondo. Quando vado a Milano, invece, perdo sempre almeno un chilo. Però questa volta mi sono salvata in calcio d’angolo, rifugiandomi in una pizzeria napoletana. La felicità.

Che senso ha quello che sto scrivendo, vi starete chiedendo. Probabilmente nessuno, per questo ho specificato “pensieri sparsi”. Più volte, più cose, però, in questi giorni, mi hanno fatto pensare a Napoli e all’essere napoletani. Tanto per cominciare, il dialetto. La cadenza milanese sarà pure più chic, ma quanto è efficace il nostro dialetto? La frase che ho formulato di più è stata “Mamma che freddo”. Ora, secondo voi, non rendo di più l’idea se dico “Mammà che fridde” (pronunciato “mammà c fridd”)? Io credo di sì, e provo pure più soddisfazione.

Ma questo è un esempio scemo. Posso farvene altri. Ero alla stazione, mi servivano informazioni in un punto vendita di biglietti, prendo il mio numerino, una dipendente dal centro della sala mi fa: “Ma non lo vede che c’è scritto che la macchina per i numeri è guasta? Cosa prende il numero?”. Il tutto condito con una saccenza, come a dire: “Sei stupida, ignorante o limitata?”. Al che, le ho detto gentilmente che di prima mattina un po’ di cortesia con i suoi clienti sarebbe stata necessaria, e sono andata via. Ah, tra parentesi, non c’era alcun foglietto sulla macchina dei biglietti.

Poco dopo, ero in metro, in un treno strapieno (già, succede anche lì ogni tanto). Per scendere ci ho messo un attimo in più, avevo con me una valigia pesante e cento persone intorno. Un signore dietro di me, anziché aiutarmi, mi ha detto “muoviti”, infastidito e scocciato dal minuto in più che avevo perso. Ora, lo so cosa staranno pensando alcuni di voi, e in parte lo penso anche io. Lo so che le persone sgarbate e scortesi sono ovunque, ma quelli che vi ho citato sono sì singoli casi, ma vanno inseriti in un contesto che è di norma così. Pensate che sulla banchina, una signora che rischiava di perdere il suo treno ha chiesto a un po’ di persone se fosse quello giusto: nessuno le ha risposto e lei il treno lo ha perso davvero. A Milano ci sono pochissimi sorrisi. Tutti sono di corsa, nessuno ha il tempo di scambiare una parola. Nessuno si guarda negli occhi, ma quasi tutti si squadrano dalla testa ai piedi, come in eterna competizione.

Ma un’altra cosa mi ha fatto pensare: siamo troppo diversi. Ero nel tram, un po’ lontana dalla porta d’ingresso ma vedevo ugualmente bene chi entrava o usciva. A un certo punto, un signore anziano, curvo e con un carrello che sembrava pesante, cerca di salire. Un gradino, due gradini, a fatica. Intorno a lui, sul tram, molte persone assistono alla scena, ma nessuno gli tende una mano. Può sembrare banale, ma so per certo che a Napoli lo avrebbero aiutato senza esitazioni.

Non voglio fare classifiche, perché amo l’Italia, la amo da Nord a Sud, e penso che ogni regione abbia la sua bellezza e la sua identità. Ma il sole che ha dentro il cuore la gente del Sud, quella del Nord non ce l’ha. Ma attenzione, non sto parlando di bontà. Conosco persone meravigliose “su”, so che le eccezioni ci sono ovunque. Ma il calore umano, la generosità, la spontaneità, la simpatia, la disponibilità, l’affabilità dei meridionali sono una loro esclusiva prerogativa.

Insomma, questi tre giorni mi hanno fatto capire che essere napoletani è una fortuna. E’ avere un’anima “nobile” ma semplice, gentile e dolce. Un’anima che sorride, sorride sempre, sorride comunque.

Quindi, il mio messaggio di Natale per voi, milanesi et similia è: donatela (e mangiatevela) un’emozione, è gratis!