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“Bambini con due mamme”: l’antica “usanza” napoletana per le coppie sterili

Nei giorni scorsi, l’opinione pubblica sembra esser stata rapita dal mal di famiglia. Oltre che alle nozze da circo di Castelnuovo, tutti i tweet portano a Verona e al suo Congresso sulla “famiglia tradizionale”. Così tra gli starnazzi degli inquisitori sul palco e le urla delle ragazze con l’anello al naso in piazza, l’Italia ripiomba nella sua solita habitude: perdersi nella caciara e tralasciare i discorsi seri.

Un’intenzione che chi vi scrive in questo momento cerca sempre di evitare. È sempre meglio approfondire i temi. Cercare di riportare l’attenzione dal caos della folla all’analisi delle questioni vere. Quasi come un aspo che, radunando e torcendo i filamenti dei bachi, crea il filo di seta. Fare ciò è ancor più importante in questo ambito. I temi familiari possono, in un certo senso, interessare tutti: dai giuristi agli psicologi, dai filosofi alla gente comune. Sono di dominio pubblico e sono privatamente vicini ad ognuno di noi. Siamo noi tutti ad occuparcene e dobbiamo farlo.

Uno dei temi più discussi è quello delle madri surrogato, o meglio dell’utero in affitto. Stiamo parlando della possibilità, da parte di una coppia sterile (anche perché omosessuale in certi casi), di ricorrere ad una donna estranea per avere un figlio. Quest’ultima che quindi, a seguito di una fecondazione assistita, porti con sé il bambino che sarà poi in seguito adottato dalla coppia richiedente. Una pratica che è stata legalizzata altrove (come in alcuni Stati americani) e che in Italia, per pochi casi, è stata riconosciuta come lecita dalla giurisprudenza.

Lo scopo di questo articolo non è né schierarsi in merito e né fare l’apologia dei pro o dei contro. Come si è detto poco fa, sta a tutti noi occuparcene. La volontà è solo quella di mostrare quella che in passato, a Napoli e non solo, è stata una soluzione al problema delle coppie sterili. Stiamo parlando dei cosiddetti “bambini con le due mamme”.

L’espressione non ha nulla a che vedere col passato. Risale alle parole di un Professore della Facoltà di Giurisprudenza della Federico II. Ogni qual volta infatti al corso si iniziava a discorrere di Bioetica, il Prof. Prisco iniziava dicendo a noi studenti: Guagliù, su ogni questione la società arriva prima del Diritto. Per esempio, quando andavo io a scuola, ero sempre incuriosito dal fatto che un mio compagno di classe avesse due mamme. Con gli anni ho scoperto che egli era stato cresciuto da una coppia di zii, i quali non potevano avere figli. La madre biologica però (sorella di quella adottiva) lo andava spesso a trovare. Così scoprii che aveva due mamme.”

La pratica dell’adozione in famiglia era molto usata nella Napoli di un tempo. Essa però ha origini antichissime. Giustiniano, colui che “sotto l’ombra delle sacre penne” governò l’Impero Romano d’Oriente, fu adottato da suo zio e predecessore come erede al trono. Gli Ebrei, addirittura sin dai tempi delle Sacre Scritture, consideravano sacra l’adozione dei figli ai parenti. Secondo la Torah infatti, un bambino ebreo può essere adottato solo da una famiglia composta da genitori ebrei, i quali osservano i dettami di Dio e sono sposati secondo il rito religioso. Per questo affidare un neonato allo zio, magari che non riusciva ad averne uno proprio, per una famiglia povera significava andare sul sicuro.

Panorama di Napoli, del 1800

Questi erano fenomeni legati per lo più alla politica e a fattori religiosi. Nella Napoli di un tempo, senza neanche andar troppo lontani dai giorni nostri, l’adozione dei nipoti era invece fatta per generosità. Intorno a queste coppie sfortunate, in un’epoca dove si moriva di tutto e per tutto, le famiglie si stringevano. Tanto anche da “rinunciare” ad uno dei propri figli o addirittura concepirlo appositamente per donarglielo. Un gesto da veri napoletani, che mostra la modernità del nostro popolo per certi aspetti. Nonostante l’adozione, questi bambini però non perdevano contatti con i genitori biologici. Erano consapevoli d’avere “due mamme” e la cosa non li infastidiva più di tanto. Si creavano così dei particolarissimi legami, completamente alieni all’idea di “famiglia tradizionale”.

Non sempre però le storie di questo tipo sono felici. Si attesta infatti che ancora nel Secondo Dopoguerra inoltrato,  vi fossero delle donne napoletane che partorivano figli solo per venderli ad estranei. Qualcuno ricorderà il caso della signora Caterina Annarumma, che dichiarò di aver venduto ben quattordici figli suoi a famiglie diverse. Della sua storia, diventata di dominio pubblico nel 2008, ha parlato tutta Italia. Ciò dimostra come all’epoca vi fossero anche i risvolti negativi di queste primordiali mamme surrogato.

Al di là di come la si pensi sull’utero in affitto, la cosa migliore è parlarne. Parlarne molto nelle scuole, nella piazze, in televisione. Mostrare soluzioni, parlare del passato o del presente è l’unica arma contro i toni da Family Day. 

Fonti:
– www.comparazionedirittocivile.it