Anche l’Islanda si aggiunge al boicottaggio verso l’Eurovision a causa della partecipazione di Israele. Sale a 5 il numero dei paesi “ribelli” insieme a Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia.
La 70ª edizione dell’Eurovision Song Contest, prevista a Vienna nel maggio 2026, si sta trasformando da grande festa della musica continentale in una crisi politica (tutt’altro che a ciel sereno), con diversi Paesi europei che hanno deciso di boicottare l’evento a causa della presenza di Israele nella competizione. Una scelta che, mentre all’estero infiamma il dibattito, in Italia sembra quasi essere passata sotto silenzio con la RAI, megafono di governo, ben saldo nel board organizzativo del festival.
La decisione dell’European Broadcasting Union (EBU) di confermare la partecipazione dell’emittente israeliana KAN al contest ha provocato reazioni immediate: Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia hanno annunciato che non prenderanno parte alla manifestazione in segno di protesta.
È notizia di ieri 11 dicembre che anche l’Islanda si è unita alla lista dei ritiri, sottolineando che non avrebbe trovato “né gioia né pace” nel partecipare a un evento ritenuto sempre più politicizzato.
Le motivazioni addotte dai broadcaster europei vanno oltre la semplice decisione artistica: si parla di incompatibilità tra i valori dichiarati dell’Eurovision – unità, inclusione, pace – e la cruda realtà della guerra genocida di Israele a Gaza, nei territori palestinesi a cui si aggiungono le incursioni del tutto illegali, secondo il diritto internazionale, in Libano e verso le imbarcazioni a scopo umanitario in acque internazionali come la Global Sumud Flotilla.
La Spagna, ad esempio, aveva già fatto sapere mesi fa che non sarebbe andata a Vienna se Israele fosse rimasto nel cast, sostenendo che “i diritti umani non sono una competizione” e che la partecipazione in quel contesto sarebbe stata insostenibile.
Di fronte a questa ondata di ritiri, l’Italia vive la questione in modo sorprendentemente laterale. La Rai non solo ha confermato la partecipazione italiana, ma ha sottolineato il ruolo tradizionale del nostro Paese tra i “Big Five” dell’Eurovision, contribuendo a finanziare e promuovere la manifestazione (con il canone degli italiani).
Niente prese di posizione nette, nessuna polemica evidente. Nemmeno uno starnuto, un alert, una presa di distanza. Qui da noi il dibattito pubblico resta tiepido, come se la politica estera e le grandi controversie internazionali fossero sempre “roba da altri”.
E così mentre Spagna, Olanda, Irlanda, Slovenia e Islanda voltano le spalle a un evento che avrebbe dovuto celebrare l’unione attraverso la musica, l’Italia si ritrova spettatrice più pragmatica che protagonista morale.
Eurovision 2026 sarà ancora “Eurovision” (con la partecipazione di un paese geograficamente asiatico e l’assenza di 5 paesi del vecchio continente)?
O il boicottaggio avrà trasformato quello che doveva essere un momento di spettacolo in un palcoscenico di contraddizioni? La risposta arriverà a maggio, ma intanto una cosa è certa: Israele, dopo stragi di civili e distruzioni di paesi, ci ha rotto anche la musica.