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Schizofrenia, scoperte a Napoli alterazioni molecolari nel cervello dei pazienti

Neurobiologia e algoritmi analitici per studiare il cervello umano: identificate al CEINGE “configurazioni molecolari” anomale nella corteccia cerebrale dei pazienti con schizofrenia.

Un team di ricercatori italiani, composto da neurobiologi, psichiatri e biostatistici, ha individuato alterazioni molecolari implicate nei deficit cognitivi e di attenzione tipici della patologia, attraverso studi integrati di Biologia molecolare clinica e l’utilizzo del “machine learning”.

Schizofrenia, l’1% della popolazione ne soffre

La schizofrenia è una patologia psichiatrica severa che colpisce approssimativamente l’1% della popolazione mondiale. Ha un andamento cronico ed esordisce in giovani adulti con notevole impatto sulla vita sociale degli ammalati e delle loro famiglie. Le cause della malattia non sono note, ma si ritiene che alla base possano esserci alterazioni della comunicazione chimica tra neuroni in aree specifiche del cervello, quali l’ippocampo e la corteccia frontale.

Nel Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del CEINGE-Biotecnologie avanzate di Napoli, diretto da Alessandro Usiello, professore di Biochimica e Biologia molecolare clinica dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli e Principal Investigator del Centro di Ricerca napoletano, i ricercatori hanno analizzato i tessuti cerebrali post-mortem di individui sani e di pazienti affetti dalla malattia, e hanno scoperto l’esistenza di alterazioni biochimiche diffuse nella complessa rete di connessioni neuronali tra le sinapsi della corteccia, che utilizzano come principale trasmettitore il glutammato.

«Gli esperimenti di neurobiologia molecolare e biochimica svolti nel nostro laboratorio al CEINGE – spiega il professor Usiello – sono stati successivamente elaborati mediante l’utilizzo di avanzate tecniche analitiche basate sul “machine learning”, una branca dell’intelligenza artificiale. Tale metodologia ha permesso di individuare nei soggetti con schizofrenia variazioni non di singole molecole, ma di gruppi di molecole, che potrebbero agire come “complessi disfunzionali” di una struttura biologica fondamentale del cervello, nota come sinapsi glutamatergica».

Uno studio innovativo, per il quale hanno messo in campo le proprie competenze diversificate biologi, medici e esperti di biostatistica. Le ricerche, infatti, si sono svolte in collaborazione con Andrea de Bartolomeis, responsabile del Laboratorio di Psichiatria molecolare e traslazionale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e direttore dell’UOC di Psichiatria e Psicologia del Policlinico federiciano e con i gruppi di ricerca guidati rispettivamente da Andrea Fontana, co-responsabile dell’Unità di Biostatistica della Fondazione IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”, per l’Università di Bari da Antonio Rampino, coordinatore del Laboratorio di Psichiatria molecolare e Genetica, e da Alessandro Bertolino, professore ordinario di Psichiatria.

Lo studio al CEINGE

«Proviamo a pensare al funzionamento del cervello umano come ad una orchestra in cui gli strumenti presi singolarmente funzionano bene, ma non sono
tra loro intonati. – chiarisce Francesco Errico, professore di Biochimica presso il dipartimento di Agraria della Federico II e ricercatore del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del CEINGE –. Nel caso della patologia studiata possiamo parlare di disarmonia tra gruppi di molecole, che potrebbe tradursi in un disordinato funzionamento della sinapsi glutamatergica in alcune aree cerebrali implicate nel disturbo, quali la corteccia prefrontale».

E non è tutto. La scoperta apre nuovi scenari per la individuazione di nuovi bersagli molecolari per le terapie farmacologiche. «Pensiamo che avere come target dei trattamenti farmacologici non i singoli elementi della sinapsi, ma l’armonico funzionamento di gruppi di questi, possa permettere la messa a punto di nuovi agenti farmacologici capaci di funzionare come “buoni direttori d’orchestra” più che come “silenziatori” o “amplificatori” di singoli strumenti», ipotizza il professor Rampino. «Dal momento che precedenti tentativi di colpire singole molecole della sinapsi glutamatergica si sono rivelati infruttuosi – commenta il professor de Bartolomeis – questo cambiamento di prospettiva potrebbe in futuro fornire nuove indicazioni nel trattamento di questo complesso disturbo psichiatrico con molecole innovative».

I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale Schizophrenia (Nature Group)*. «L’approccio all’analisi è consistito nel lancio dell’algoritmo “iterative Random Forest”, che si basa sulla costruzione di una foresta “casuale” di alberi di classificazione dei dati, in modo iterativo ed internamente validato – spiega il dottor Fontana –. Attraverso tali algoritmi matematici è stato possibile non soltanto individuare le molecole della sinapsi glutamatergica corticale maggiormente predittive della patologia ma anche suggerirne le loro interazioni funzionali».