Una performance che entusiasmò immediatamente il pubblico, ma troppo osé per l’epoca, tanto che su pressioni del Vaticano la dirigenza Rai lo bandì dalla Televisione. Fu la stessa Raffaella Carrà a raccontare lo scandalo: “Lo ballai la prima volta con Enzo Paolo Turchi, e l’Osservatore Romano – racconta al Corriere della Sera – fece pressioni in Rai per stopparlo. Riuscii a riportarlo in tv solo grazie ad Alberto Sordi, a cui nessuno diceva no. Io mi vestivo così, pantaloni e top corto, senza nessun secondo fine. Ma evidentemente, senza rendermene conto, stavo rompendo gli schemi. Forse perché ballavo in modo libero, forte, comunicavo energia, non una sensualità eccessiva. E dunque è stato più facile far passare un messaggio di libertà. Mentre ballavo non pensavo: guardate come sono brava. Pensavo: dai, venite a far casino con me”.
Quello che si scatenò fu un vero e proprio finimondo in un’Italia estremamente bigotta e molto influenzata dalla religione cattolica. I giornali parlarono per giorni di quel balletto, di quei tocchi proibiti, ma dall’altro lato c’era comunque un’Italia che aveva voglia di libertà, di leggerezza. Una nazione i cui costumi stavano cambiando soprattutto grazie al ’68, che stava andando in una direzione precisa. Raffaella Carrà ebbe il merito di dare una bella accelerata a tale transizione, la scossa che serviva per non tornare mai più indietro.
Celebre fu proprio il ritorno in TV del Tuca Tuca, stavolta con Alberto Sordi e l’ombelico scoperto per la Carrà, altro simbolo della rivoluzione del costume italiano. Un destino scritto nella vita di Raffaella, poiché proprio l’ombelico era il protagonista di un aneddoto raccontato dall’artista: “Mia mamma alla nascita aveva avvisato l’ostetrica: falle un bell’ombelico, che sembri un tortellino”. Quel tortellino che scandalizzò l’Italia intera, e la cambiò per sempre.