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“‘O pallonetto a Santa Lucia”. Sapete di cosa si tratta?

A Napoli quando dici che fai il “pallonetto” non è detto che tu stia tirando due calci a un Super Santos imitando il primo dei tanti virtuosismi della tua squadra del cuore. O almeno non solo quello. Napoli vanta ben tre pallonetti che la gente percorre, ogni giorno, per raggiungere il cuore antico della città.

Di cosa si tratta? Semplicemente di un caratteristico complesso di vicoli, stradine storte e gradinate ripide – e nemmeno tanto “semplicemente” poiché è qualcosa di unico nel suo genere e che solo qui puoi trovare – che lega la sua toponomastica ad un vecchio gioco e ai martiri del luogo.

Il curioso appellativo, tuttavia, fa riferimento ad uno sport più antico di quello che siamo abituati a praticare oggi e inventato in Inghilterra solo nel 1847. Il gioco del pallonetto nacque, infatti, già nei primi del XV secolo per intrattenere la Corte Medicea e finì presto per raggiungere la città partenopea. Come riporta il canonico Carlo Celano nelle sue Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli – 1692 – esso si svolgeva inizialmente in un’adeguata struttura al coperto, costruita presso i giardinetti dell’attuale piazza Bellini dove «vi era un bellissimo luogo coverto, e forse il più ampio e comodo che fosse in Italia per giocare alla racchetta e al pallone». Un gioco divertente e versatile che si prestava bene ad essere praticato per le strade di tutto il paese e allora nacquero i pallonetti all’aria aperta.

Quelli di Santa Chiara, San Liborio e Santa Lucia per esempio. Tra questi è l’ultimo quello decisamente più famoso e suggestivo. Esattamente alle pendici di Pizzofalcone, sopra il mare e nel cuore del borgo più antico e viscerale di Napoli, Santa Lucia la cui storia si identifica con le origini della fondazione stessa della città di Neapolis, a pochi passi dall’isolotto di Megaride dove sbarcarono i primi coloni greci.

Gli aspetti pittoreschi di Santa Lucia e, soprattutto del suo Pallonetto, sono stati resi celeberrimi dall’opera di Giuseppe Marotta, scrittore conosciuto soprattutto per L’oro di Napoli ed autore anche de Il teatrino del Pallonetto, in cui narra le vicende del suo alter ego don Vito Cacace che amava leggere il giornale agli abitanti del luogo, allora analfabeti, e raccoglierne i vivaci commenti.

In questi luoghi veraci, più che altrove, puoi sentire l’abbraccio caloroso e autentico dell’anima di Napoli. Una città da sempre ricca di contraddizioni dolci e amare che finiscono per convivere pacificamente, dove l’antico non scompare mai ma oppone resistenza fino a che il moderno vi si insinua con prepotenza. Le scale del pallonetto di Santa Lucia e i bassi caotici, disordinatamente ubicati su di esse si impongono alla quiete signorile e ordinata del Borgo. Le chiassose esultanze degli scugnizzi corrono assieme ai loro palloni consumati che si divincolano tra le ruote dei motorini inquinanti che sfrecciano in mezzo alla folla eterogenea di umili operai e altolocati professionisti. Profumi di pregiate essenze di Colonia indossati dai pendolari si confondono con gli odori intensi delle pietanze che si scorgono dai quei bassi coi portoni sempre aperti.

Perché qui la gente ama considerarsi una grande famiglia e per quanto passi il tempo e le cose cambino, purtroppo non sempre per il verso giusto, qui l’armonia sembra non perdersi mai, protetta e coccolata dal mare e dal Vesuvio. Perché qui si riesce sempre a ritrovare la propria identità. Perché l’oro di Napoli non si è ancora perduto e nemmeno l’orgoglio di essere napoletano, malgrado tutto.