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Sentenza choc Benevento, la donna stuprata dal marito: “Mentre dormivo con il bimbo accanto”

Ha fatto discutere la sentenza choc di una PM di Benevento che ha chiesto l’archiviazione nei confronti della denuncia per violenza domestica e stupro depositata da Audrey Ubeda. La donna di 38 anni, assistita dall’avvocato Michele Sarno, oggi vive con i suoi figli all’interno di un centro antiviolenza.

Se si dovesse dare un titolo a tutta questa storia uno perfetto sarebbe “Ritorno al Medioevo”. Sì, perché secondo la sentenza lo stupro del marito è giustificato dal fatto che la donna deve subire solo perché sposata e coinvolta in una relazione stabile e duratura.

Sentenza choc: “Vincere resistenze della donna”

In merito ai rapporti non consensuali, la PM ha scritto: «è comune negli uomini dover vincere quel minimo di resistenza che ogni donna, nel corso di una relazione stabile e duratura, nella stanchezza delle incombenze quotidiane, tende a esercitare quando un marito, che nel caso di specie appare particolarmente amante della materia, tenta l’approccio sessuale».

Il primo motivo che ha fatto discutere è che ad averla inoltrata è una donna, il secondo è che Ubeda non viene in nessun modo considerata una vittima. “Sono turbata – dice la donna a Vanity Fairperché non avrei immaginato una conclusione di questo tipo. La violenza che ho subito è stata prima psicologica, fatta di insulti e di minacce. Poi sono iniziati i pugni sul tavolo, le porte che sbattevano e i rapporti non consensuali la notte. Per esempio, alle tre del mattino, mentre dormivo, mi tirava giù il pigiama e si metteva in mezzo alle mie gambe. Anche se accanto a noi dormiva il bambino piccolo“.

Oltre alle violenze sessuali però Audrey Ubeda era costretta a subire anche quelle domestiche, fino a quando si è rivolta ai carabinieri ai quali ha chiesto aiuto e ha denunciato. Così è stata trasferita in un centro antiviolenza dove oggi vive con i suoi figli. “Un giorno – ha raccontato – mi sono detta che io e i miei bambini abbiamo il diritto di vivere una vita normale e per questo denunciare era un mio dovere come mamma e come donna. Oggi ho paura ma continuo a credere nella giustizia“.