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Patto per Napoli, una fregatura: 58 milioni l’anno non bastano per ripartire. Aumentano le tasse

Un miliardo e 231 milioni di euro in 21 anni, ossia poco più di 58 milioni di euro l’anno: sono queste le cifre del Patto del Napoli, ben diverse da quelle annunciate nei mesi scorsi da Gaetano Manfredi che parlava di un miliardo in cinque anni, ossia 200 milioni l’anno per la durata del suo mandato. È questo ciò di cui Napoli aveva bisogno? Certamente meglio di nulla, eppure due decenni sembrano un lasso di tempo enorme per parlare di ripartenza e 58 milioni l’anno una cifra estremamente esigua.

Patto per Napoli: 58 milioni di euro l’anno non sono sufficienti per ripartire

Se consideriamo, per esempio, che un nuovo treno della Metropolitana costa circa dieci milioni di euro, si desume che con meno di 60 milioni l’anno è praticamente impossibile parlare di un rilancio in grande stile, poderoso, che produca gli effetti desiderati in tempi molto brevi. Bisogna dare delle risposte adeguate e urgenti alle generazioni in difficoltà, quelle che oggi fanno i conti con stipendi miseri e non possono permettersi di condurre una vita dignitosa senza l’aiuto dei genitori. Bisogna dare la certezza agli adolescenti di oggi, agli studenti universitari, che “domani” avranno la possibilità di realizzarsi nella vita senza lasciare la propria città. Bastano 58 milioni di euro per questi obiettivi, i principali? Le perplessità sono parecchie.

Nuove tasse e aumenti: mani in tasca ai napoletani

Il finanziamento è considerato a fondo perduto, ma soltanto in teoria: nel documento firmato oggi da Gaetano Manfredi e Mario Draghi si legge che il contributo è rilasciato a condizione che il Comune riesca “ad assicurare, per ogni anno o con altra cadenza da individuare nell’Accordo, risorse proprie pari ad almeno un quarto del contributo annuo, da destinare al ripiano del disavanzo e al rimborso dei debiti finanziari”. Tali risorse sono espressamente previste dal comma 572 dell’articolo 1 della legge n. 234 del 2021. Nello specifico si tratta di:

a) miglioramento della riscossione con un incremento di entrate dal 2024, anche attraverso l’assegnazione della riscossione coattiva a società specializzate; b) l’incremento dell’addizionale comunale all’IRPEF di 0,1% dal 2023 e di un ulteriore 0,1% dal 2024; c) l’introduzione dal 2023 di una tassa di imbarco aeroportuale; d) la valorizzazione e alienazione del patrimonio pubblico; e) la riduzione dei fitti passivi a partire dal 2023; f) la razionalizzazione del sistema delle partecipate, attraverso un piano che il Comune di Napoli si impegna a definire entro il 1° settembre 2022; g) l’incremento dei pagamenti per investimenti nel periodo 2022-2026, rispetto alla media del triennio precedente, in misura pari alle risorse assegnate sul PNRR, sul Fondo complementare e sugli altri fondi nazionali e comunitari, incrementate per un valore del 5% con risorse proprie; h) altre misure in via di definizione e che saranno, via via, annualmente inserite nel cronoprogramma.

Con l’aumento dell’Irpef e l’introduzione della tassa aeroportuale, perciò, saranno direttamente i napoletani a pagare questi 15 milioni annui, senza parlare poi dell’alienazione del patrimonio pubblico sul quale, si spera, vi sia una vigilanza adeguata per evitare scandali, favoritismi, assegnazioni a prezzi stracciati. Bene l’aver fissato come scopo la riduzione degli sprechi, come nel caso dei fitti passivi. L’Amministrazione dovrà poi essere capace di fare gli investimenti giusti e farli fruttare per poter raggiungere la somma prevista.

Se i fondi concessi dallo Stato saranno utilizzati per gli investimenti nell’ottica di raggiungere la sperata “ripartenza”, il quarto del contributo annuo dovrà invece servire a ripianare il debito del Comune di Napoli. Il Governo, dunque, concede quel finanziamento a patto però che grazie alla maggiore entrata Palazzo san Giacomo sia capace di trovare le risorse per pagare i creditori. Un meccanismo in realtà intelligente, ma con tutti i dubbi e gli interrogativi sugli obiettivi da raggiungere data l’esiguità dell’importo annuale corrisposto dal Governo.

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