Cronaca

Da Ciruzzo ‘o milionario a Marco: la storia dei Di Lauro, il clan che ha ispirato Gomorra

La notizia di oggi è quella dell’arresto di Ciro Di Lauro, figlio di Ciruzzo ‘o milionario e fratello del camorrista Marco di Lauro, ultimo super latitante della camorra arrestato nel 2019. Come si sa, dietro questo cognome vi è una lunga storia criminale, iniziata dal padre Paolo e che ha fatto sprofondare Napoli nella più efferata guerra di Camorra di sempre. Una storia che ha riempito le pagine della cronaca nera e anche ispirato la serie televisiva Gomorra. 

Tutto ha inizio il 1° Maggio 1982. Nella zona di “Mmiezzo all’Arco”, quartiere Secondigliano, un commando uccide in strada il boss Aniello Lamonica. Il quartiere è in lutto, i negozi chiudono le serrande per tre giorni nel rispetto dell’amato capozona. A sconvolgere tutti però, è la voce che il mandante dell’agguato sia uno dei fedelissimi di Lamonica: Paolo Di Lauro. egli è un ragazzo schietto e calcolatore, con l’aria del capo e mille aspirazioni.

Paolo di Lauro nasce a Secondigliano nel 1953. Viene da una famiglia di venditori di abbigliamento ambulanti, i cosiddetti “magliari”, famosi in tutta la città per i prezzi a buon mercato e a volte le truffe. A Paolo però non piace la vita del magliaro.  Egli aspira a diventare qualcuno e da subito inizia a muovere i primi passi nel mondo criminale. Entra giovanissimo a far parte del clan Lamonica, diventandone il contabile e il braccio destro del boss Aniello. A questi anni risale il soprannome di Ciruzzo ‘o milionario” (coniato dal boss di Forcella Luigi Giuliano, durante una partita a poker), che lo accompagnerà per tutta la vita.

L’arresto di Marco Di Lauro

Per quanto riguarda gli affari, il contabile oltre che saperli gestire, sa anche fiutarli. Stiamo parlando della fine degli anni ’70, gli anni dell’eroina. Si calcola che, all’epoca, in Italia ci fossero più eroinomani che negli USA. Di Lauro sa che la droga frutterebbe al clan miliardi di lire, ma non riesce a convincere il capo a buttarsi in questo business. Così inizierà la ribellione del contabile, che porterà all’uccisione di Aniello Lamonica e al cambio di comando del clan. Quest’ultimo che da quel momento in poi porterà il nome dei Di Lauro.

Non appena arrivato in cima, il nuovo boss decide di riformare l’organizzazione criminale. In primis, si decide di rimanere nei quartieri di Secondigliano e Scampia. In quelle zone ampie, isolate e inosservabili, Di Lauro crea piazze di spaccio sicure e ben fornite. La droga non passa più per i mediatori, ma arriva direttamente dalla Colombia. Molti dicono che gli uomini del clan la trasportassero a bordo di grossi catamarani. Questo sarà il business più prolifico di tutti, capace di far guadagnare ai Di Lauro 15 milioni di euro all’anno.

All’interno dell’organizzazione, viene creata una struttura gerarchizzata, ben gestita da capizona senza scrupoli e dove ognuno ha un ruolo ed uno stipendio fisso. Si parla di 1200 euro al mese per un “palo”, 2500 per un pusher. Cose mai viste in una delle zone col più alto tasso di disoccupazione d’Europa. In cambio di ciò, gli adepti devono rispettare regole ferree, come la fedeltà più assoluta al clan e il divieto di fare uso di droga.

La cosa che però contraddistingue di più Paolo Di Lauro è il mistero che aleggia intorno alla sua identità. Il boss aveva capito da subito che per comandare al meglio doveva diventare invisibile. Chi è invisibile infatti non attrae invidia o attenzioni. Così egli stesso vivrà da eremita nella sua roccaforte di Via Cupa dell’Arco, avvicinando solamente alcuni fedelissimi e gestendo il tutto nell’ombra. Grazie a questo sistema, già verso il finire degli anni ’80, Di Lauro verrà considerato il signore indiscusso di Napoli. 

Per Ciruzzo ‘o milionario, le cose inizieranno a scricchiolare dopo un po’ tempo, per una banalità. È il 1998. Uno dei figli del boss, Nunzio, viene fermato dalla polizia per una bravata. Dopo un litigio avvenuto a scuola, aveva mandato a pestare un suo professore. I poliziotti così sono costretti a convocare il padre Paolo in caserma e a vederlo per la prima volta. Grazie a questo episodio, gli inquirenti riescono ad indirizzare meglio le indagini e ad ordinare l’arresto nel 2002. 

Da questo momento in poi inizia la latitanza del boss. Chi dice che sia in Russia o a bordo di uno yacht che costeggia il Borgo Marinari, alla fine sembra che Di Lauro sia scomparso nel nulla. Gli affari passano così al figlio primogenito Cosimo, ragazzo spietato ma non abbastanza carismatico per la vecchia guardia del clan. Il giovane quindi decide di rottamare i vecchi, introducendo nuove figure nella leadership dell’organizzazione. Per tutta risposta, uno dei rottamati, Lello Amato detto ‘o Spagnuolo decide di ribellarsi a questa scelta. Riorganizza coloro che erano stati lasciati fuori da Cosimo e forma un nuovo gruppo intenzionato a gestire da solo l’area Nord. È il 2004 e si crea quella famosa “Scissione” che farà piombare la città nella più sanguinosa guerra di Camorra della sua storia. Una faida che in soli tre anni porterà a più di 300 omicidi. 

Le vittime di questa guerra non sono però solo dei camorristi.  Si fa riferimento purtroppo anche a nomi innocenti, uccisi dagli sgherri di una o l’altra fazione. Tra gli stessi si ricordano: Antonio Landieri, ragazzo disabile di 25 anni, ucciso a Scampia durante una stesa; Gelsomina Verde, 22 anni, torturata e incendiata nella sua auto perché colpevole di non aver rivelato dove si nascondesse il suo ex-fidanzato affiliato; Dario Scherillo, gestore di un’autoscuola di 26 anni, ucciso per sbaglio vicino al suo negozio. Gente normale, che nulla aveva a che fare con questo mondo criminale e malato.

Paolo Di Lauro viene arrestato il 16 Settembre 2005 a Secondigliano, nella casa di Fortunata Liguori, donna legata ad un membro del clan. Le indagini sulla cattura hanno dell’incredibile. Le forze dell’ordine hanno capito dove si nascondeva il boss, seguendo la Liguori al mercato e controllando la sua spesa. La donna infatti era solita acquistare salmone e pezzogna, pesci costosi e molto apprezzati da Di Lauro. Una volta arrivate le volanti della polizia, tutto il quartiere scende in difesa del suo boss. Dalla folla si sente: “Ciruzzo è sul’ nu magliaro, è il San Gennaro di Secondigliano”. Un gesto che, per chi conosce il mestiere, significa: “non siamo stati noi a tradirti”.  Ancora una volta, il silenzio della propria gente è risultato essere l’arma migliore per un latitante.

Paolo di Lauro oggi sta scontando tre ergastoli al 41-bis. Lo Stato ha confiscato la sua villa-roccaforte e buona parte del suo patrimonio. Nonostante ciò, i figli e i fedelissimi del capo hanno continuato la sua opera. A Scampia si è continuato a sparare e spacciare. Si continua ad arrestare e a smantellare un clan, che non sembra del tutto sconfitto. Chissà cosa succederà dopo l’arresto di Marco Di Lauro, l’ultimo camorrista tra i super latitanti.

Un clan che, come non tutti sanno, ha ispirato Roberto Saviano e gli autori nella sceneggiatura del telefilm Gomorra. Alla luce di tutto ciò, saltano subito all’occhio le similitudini tra Di Lauro e il boss della serie, Don Pietro Savastano. Quasi identici sono i fatti di cronaca e le storie dei protagonisti.

È sempre difficile trattare di argomenti come questi. Soprattutto in quanto fatti che, in un modo o nell’altro, hanno rappresentato e rappresentano ancora dolore per i napoletani. Raccontarli, ricordarli e ripeterli ci sembra però la cosa più doverosa da fare. 

Fonte: Kings of Crime.