DOCUMENTO – Don Peppe Diana veniva ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994


Don Peppe Diana, il giorno del suo onomastico dell’anno 1994, veniva ammazzato dalla camorra nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari del suo paese natale, Casal di Principe, mentre si preparava a celebrare la Santa Messa.

Erano gli anni della faida tra gli Schiavone e i De Falco, conflitto che vedeva la preminenza dei primi sui secondi, che decisero in questo modo di uccidere il parroco facendo cadere la colpa su Francesco Schiavone e suoi fedeli: in questo modo li avrebbero indeboliti non solo perché il delitto avrebbe attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, ma anche perché avrebbe fatto loro perdere “popolarità” tra la gente, la cui forma forma mentis era (ed è ancora oggi per molti versi) plagiata in modo da farle avere della camorra l’immagine di un’organizzazione “buona”, che agisce per la propria terra e dà lavoro a tanti ragazzi che altrimenti avrebbero fatto la fame. Un’aberrazione che proprio adesso, mentre scrivo, mi fa venire i brividi soprattutto alla luce dei disastri ambientali che hanno colpito la Campania e che stanno facendo morire migliaia di individui in modo atroce, ma per la quale, è doveroso dirlo, lo Stato ha le sue enormi responsabilità: opportunità, convenienza, connivenza, avidità, sono i fattori che caratterizzano la politica locale e statale e i quali hanno fatto e continuano a far sì che il discrimine, la linea che separa criminalità organizzata e politica, sia spesso più che diafana, inesistente. Il gesto dei De Falco, quei cinque proiettili tutti andati a segno alle ore 7.20 di quel mattino che fecero cessare la vita di Don Peppe Diana istantaneamente, ebbero il risultato sperato: Sandokan, per tutta risposta, disse che avrebbe vendicato il prete segando in due il responsabile e ponendo i suoi resti sull’altare della chiesa.

Per amore del mio popolo

L’unico modo attraverso cui ritengo sia possibile omaggiare Don Peppe Diana è quello di continuare a diffondere il suo messaggio, dunque riporto un documento, il suo scritto più famoso – Per amore del mio popolo:

Siamo preoccupati – Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere ‘segno di contraddizione’. Coscienti che come chiesa ‘dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà’.

La Camorra – La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.

Precise responsabilità politiche – È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio. Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.

Impegno dei cristiani – Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti.
Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23); Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5). Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza.

Non una conclusione: ma un inizio – Le nostre “Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe”. Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa. Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26). Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”.

Questo articolo fa parte della rubrica I figli illustri di Napoli.


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