Dorotea Liguori, la Giapponese. Dalle perle al Sakura, tra le donne più potenti al mondo


Torre del Greco con la morte di Dorotea Liguori perde un pezzo di storia. Una storia importante, quella che unisce la “giapponese” – come veniva soprannominata – alla città del corallo. Eleganza da vendere e raffinatezza senza eguali, Dorotea Liguori è stata un simbolo. Donna dal carattere di ferro di chi è abituato a comandare con lo stile di un’Imperatrice.

Chi era Dorotea Liguori, la Giapponese di Torre del Greco

Se a Capri c’erano delle feste, le più belle erano quelle che si organizzavano nella villa di Dorotea Liguori, a Marina Grande. Una villa appartenuta Mona Bismark che Dorotea ha arredato mescolando stile europeo e orientale antico. D’estate, durante le sue feste ospitava il Jet set internazionale. Sì, perché Dorotea era amica di tutti, dal calzolaio al capitano d’industria. 

Poteva vivere ovunque, New York, Milano o Tokyo. E invece ha scelto di vivere nella terza città della Campania, Torre del Greco. Dorotea fin da giovane ha dovuto imparare a cavarsela, il padre e lo zio le dicevano: “Attenta, chiunque ti si avvicini, lo farà per i tuoi soldi”. Un’esistenza fatta di successi imprenditoriali e amori difficili; amava ricordare il giorno del suo matrimonio, nella chiesa di Sant’Anna, quando venne a salutarla anche Enrico De Nicola.

Metà italiana di Torre del Greco, metà giapponese perché nata a Kobe, grazie alla sua fortuna, un impero economico che la include tra le donne più ricche e potenti del mondo, ha vissuto tutta la vita col complesso della “bastarda”, come in Giappone impietosamente definivano quella bimba dai tratti spuri. Dal suo ufficio di Torre del Greco ha diretto per anni la holding commerciale di famiglia, un impero economico nel settore dell’alta gioielleria. È lei stessa a disegnare i gioielli, un’attività che le consente di avere rapporti con mezzo mondo anche se il suo obiettivo è sempre stato quello di consolidare in America il suo nome, quello di Torre del Greco e dell’Italia.

È il primo dicembre del 1946 quando sbarca a Napoli dal transatlantico Vulcania proveniente da New York. Una ragazzina con il futuro economicamente sicuro: “Avevo vent’anni e la città era stata spazzata dai bombardamenti. Ero solo una ragazza ingenua catapultata in una realtà molto diversa da quella in cui ero cresciuta”  – racconta nel 2004 in un’intervista a La Repubblica.

Furono i torresi a darle il soprannome “la giapponese”, mito e vanto della città, ma anche motivo di curiosità per quella sua vita appartata nella sua villa nella parte alta della città: “Non sanno dimostrarlo, ma in fondo mi vogliono bene” – diceva dei suoi concittadini che ha sempre amato profondamente.

Oltre all’azienda di famiglia di importazione di perle, l’hotel Sakura (Fior di ciliegio) era il suo vanto. Un hotel a cinque stelle costruito negli anni Settanta alle pendici del Vesuvio per evitare che gli ettari che circondano la sua casa fossero in parte trasformati in parco pubblico. Un angolo di Giappone in Italia, questo è il Sakura, che ha ospitato il mondo, perché chi voleva rilassarsi alle pendici del Vesuvio non poteva non scegliere quella struttura. 

Del suo passato Dorotea Liguori ne ha sempre parlato poco, la sua storia è raccontata nell’autobiografia “Yaeko”, il suo nome in giapponese. Significa “otto petali di ciliegio selvatico”. Sempre a La Repubblica racconta: “I miei genitori non erano sposati: europei e giapponesi si disprezzavano”. Il patrimonio, culturale ed economico, lo ha ereditato dal padre, Gennaro Liguori, in paese detto “Don Gennaro”. Una figura che la piccola Yaeko imparò a temere, rispettare, amare. Come è tradizione in Giappone, come le insegnò da piccola la mamma.

Don Gennaro, da buon torrese, le trasferì per tutta la vita la passione per il corallo e le perle: “Mio padre aveva diciassette anni quando si trasferì in Giappone con mio nonno. Fu il primo a importare in Europa le perle coltivate che il giapponese Mikimoto aveva inventato. Sempre in viaggio tra Torre del Greco e Kobe, dove conobbe anche mia madre”. 

Per Dorotea due torresi contarono molto: il padre e lo zio Amerigo. Le insegnarono tutto quello che c’era da sapere, nel mondo del lavoro e di come comportarsi nella vita.

Una donna, Dorotea, che fino a qualche anno fa, alle 8.30 era già nel suo ufficio del Sakura. Alle pareti, una gigantografia del padre e tanti diplomi. L’”award” americano che la vede tra le quaranta imprenditrici più importanti del mondo, l’attestato di presidente italiana di “Feed the Children”, l’associazione che si occupa di bambini abbandonati. 

La vita non le ha risparmiato momenti difficili. Ha avuto due figli e un lutto che l’ha segnata: il primogenito Roberto era in America, in attesa del trapianto di cuore, ma non fece in tempo. Dorotea si trovava a Capri, quando la notizia arrivò: noleggiò una barca e tornò di notte a casa. Finché qualcuno la guardava, evitò di piangere. 

Dorotea ha vissuto una vita fatta anche di grandi soddisfazioni, come quelle avute nella sua carriera. Sicuramente ci ha lasciato con la consapevolezza che il suo Sakura sta pian piano risorgendo. Sì, perché dopo che lei ha venduto l’hotel alla compagnia di navigazione Deiulemar che ha poi portato al fallimento la struttura, oggi il Sakura risorge grazie alla caparbietà di imprenditori che hanno investito nel recupero della struttura e che credono nel potenziale di Torre del Greco.


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