Turris, anche le sedie hanno cambiato Torre. Bisogna sradicare la mediocrità dalle viscere


Calciatori, dirigenti, sedie, poltrone e perfino manichini. Da una Torre all’altra, con nonchalance. Un salto, non certo un viaggio, di pochi chilometri paragonabile ad un volo da Roma a Bangkok.

Il dark side del fallimento della Turris cela male, malissimo, anche quelli che nella letteratura romantica del giuoco verrebbero catalogati come i peggiori dei tradimenti.

Colpi infilzati nei cuori di tifosi esausti, snervati, sfibrati da due anni indegni, per certi versi irreali. E la frustrazione si riversa, inevitabilmente, sui social. Ultimo sfogatoio di quelli che non ci credono ancora, che sia andato davvero tutto così.

Guardare al futuro, sempre. Ma con quale prospettiva? Dove risiede il barlume di speranza? Anno sabbatico, ennesimo maneggio per indorare la pillola. Sabbatico deriva dal termine ebraico Shabbat. Vuol dire riposo.

Riposare. Da quale fatica? Non è chiaro. Magari a marzo scorso, giusto un paio di settimane, dopo essere stati umiliati dall’esclusione dalla Serie C. Poi bisognava lavorare bene, a differenza di quanto fatto fino a quel momento.

Si dovevano trovare soluzioni concrete, fare quadrato, triangolo, rettangolo. Insomma, bisognava chiudere le linee e stabilire dei vertici da cui ripartire. Impettirsi e mostrare che Torre del Greco è una città con visione, lungimiranza, risorse, organizzazione e passione. E che quella capriola era servita solo per prendere la rincorsa.

Invece la terra è implosa. Nei suoi stessi limiti, nelle sue stesse debolezze. Iniziando a sperare che una voce tra quella o quell’altra almeno fosse vera, per apparare, ‘poi ci pensiamo’. Intanto.

Intanto niente. Bisognava agire. Reagire. Non certo aspettare, né riposare nel frattanto. Il futuro era ieri, è oggi. Non è domani.

Nessun anno sabbatico.

C’è tanto da fare e il tempo già scarseggia. C’è una mentalità da cambiare, una mediocrità di intenti da sradicare. Uno spirito d’appartenenza da (ri)creare. A partire dai giovani.

Competenze da acquisire, risorse da trovare e da investire. Bene. Smettere di abbeverarsi dal pozzo senza andare al fiume a riempire i secchi per la comunità. Crescere, evolversi. Anche culturalmente. Perché la cultura, lo studio e la curiosità di capire, salvano da sempre. L’ignoranza non ha mai portato a nulla. Affidarsi alla fortuna, ancora meno.

Il caso non esiste.


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