Roberto Saviano dimentica i principi giuridici e attacca ancora Napoli
Gen 14, 2015 - Francesco Pipitone
È un Roberto Saviano polemico quello che commenta l’uscita di prigione di Ciro e Vincenzo Di Lauro, i figli del boss Paolo Di Lauro, dopo aver scontato per intero le pene a otto e dieci anni di reclusione crimini aggravati dal metodo mafioso. Egli si chiede se adesso tutti coloro che lo hanno criticato e accusato di lucrare attaccheranno manifesti contro di essi, se si organizzeranno incontri e fiaccolate.
Se, da un lato, sono comprensibili e condivisibili le parole di Saviano, nel denunciare un’omertà che tentare di nascondere sarebbe stupido e in alcuni casi fazioso, dall’altro è necessario sottolineare che la giustizia ha fatto il suo corso, che quelle due persone sono state condannate per quello che hanno fatto e hanno scontato la loro pena. Se tra i princìpi di uno stato di diritto vi è quello che afferma la necessità di far scontare la pena a chi ha commesso dei reati, vi è anche quello secondo cui chi ha pagato debba uscire di prigione e avere la possibilità di reinserirsi nella società: se non si accetta questo, chiudiamo tutti i carceri e mettiamo di nuovo le forche e le ghigliottine nelle piazze, perché accettando questa sorta di determinismo lombrosiano l’unico rimedio, per fare in modo che la persona non delinqua più, è la morte.
Saviano dimentica inoltre il dettato della Costituzione, la quale all’articolo 27, comma terzo, afferma che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”, ossia la pena deve essere uno strumento attraverso cui immettere in chi la sconta una serie di valori positivi, in modo tale che una volta uscito di galera l’individuo non commetta più reati, anzi, divenga un cittadino responsabile che con il suo lavoro contribuisca al progresso materiale e spirituale della società. Dopo la pena, insomma, dovrebbe cominciare una seconda vita, il soggetto dovrebbe avere una seconda opportunità, ma questo Roberto Saviano lo dimentica, non lo vuole accettare, eppure da un uomo come lui, sempre in prima linea per difendere i valori della legalità e della giustizia, ci si aspetterebbe il contrario. Se anche Saviano non credesse alla finalità rieducativa della pena per chi era un camorrista, dovrebbe fare buon viso a cattivo gioco perché essa è un principio giuridico, dura lex sed lex, e va rispettato, in particolar modo se ti ergi a paladino della legalità. Non si capisce poi perché egli dica “Mi domando come Napoli li avrà accolti”, ampliando il suo discorso a tutta la città, invece che soltanto ai suoi “nemici”, i fautori dei manifesti e quant’altro. Che si tratti di una polemica scaturita dalla pancia di Roberto Saviano, tuttavia, non c’è dubbio, poiché sono sicuro che egli conosca e condivida questo discorso sulla funzione della pena, però il suo essere un personaggio pubblico gli impone di essere quanto più lucido possibile, visto che ciò che dice ha un impatto importante sulla gente.
Il compito degli apparati dello Stato, adesso, è quello di sorvegliare attentamente le azioni dei due fratelli, così come lo è quello di controllare il territorio e proteggere i cittadini, un compito che in passato lo Stato non ha onorato: questa volta farà il suo dovere? Se non lo farà di chi sarà la colpa, sempre dei napoletani?