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Licenziata per aver urlato “Palestina libera”: il Teatro la dovrà risarcire

Il Teatro alla Scala dovrà risarcire la lavoratrice licenziata per aver urlato “Palestina libera” durante il servizio, lo scorso 4 maggio, in occasione di un concerto alla presenza della premier Giorgia Meloni e della delegazione dell’Asian Development Bank. La decisione è arrivata dal Tribunale del Lavoro, che ha riconosciuto alla dipendente tutte le mensilità comprese tra il licenziamento e la scadenza naturale del suo contratto a termine, oltre al pagamento delle spese di lite.

A darne comunicazione è stata la Cub, che commenta la sentenza sottolineando come essa confermi, a loro avviso, “che si è trattato di un licenziamento politico”, come affermato dal rappresentante sindacale Roberto D’Ambrosio.

Risarcimento completo e spese legali a carico del Teatro

La confederazione sindacale, assistita dall’avvocato Villari, ha spiegato che la lavoratrice riceverà un risarcimento totale, comprendente tutte le mensilità fino alla naturale conclusione del contratto. “Il Teatro dovrà anche coprire le spese di lite”, aggiunge la Cub nella nota diffusa dopo la sentenza.

“Lo abbiamo sostenuto fin dall’inizio che gridare ‘Palestina libera’ non è reato, e che i lavoratori non possono essere sanzionati per le loro opinioni politiche”, afferma ancora la confederazione, ringraziando i colleghi che si sono mobilitati nelle scorse settimane. Il sindacato invita inoltre allo sciopero del 28 novembre e alla partecipazione alla manifestazione nazionale pro-Palestina prevista per il 29 a Milano, con ritrovo alle 14 in piazza XXIV Maggio.

Il sindacato: “Ora le rinnovino il contratto”

Per Roberto D’Ambrosio, la sentenza apre la strada a un epilogo che il sindacato ritiene doveroso: “Ora il teatro le rinnovi il contratto per evitare altre cause”. Una richiesta che si inserisce in un quadro più ampio di rivendicazioni sulla tutela della libertà di espressione e dei diritti dei lavoratori nei luoghi di cultura.