Giovanni Brusca torna libero: azionò il telecomando che uccise Falcone e provocò la strage di Capaci
Giu 05, 2025 - Redazione Vesuviolive
Dopo 25 anni di carcere e altri quattro di sorveglianza, Giovanni Brusca, uno dei più spietati boss di Cosa Nostra, è tornato definitivamente libero. La notizia ha riacceso il dibattito pubblico e politico in Italia: può la giustizia permettere la libertà a chi si è macchiato di crimini così atroci?
Brusca è noto soprattutto per aver premuto il telecomando che il 23 maggio 1992 fece saltare in aria l’autostrada nei pressi di Capaci, uccidendo il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta.
Ma quella strage fu solo uno degli oltre 150 omicidi di cui Brusca è stato protagonista o mandante. Tra i crimini più efferati, c’è anche il sequestro e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino Di Matteo: il bambino fu tenuto prigioniero per 779 giorni prima di essere strangolato e sciolto nell’acido.
Arrestato il 20 maggio 1996 ad Agrigento, Brusca era uno dei latitanti più ricercati d’Italia. Dopo un primo tentativo di depistaggio, decise di collaborare con la giustizia, diventando uno dei principali pentiti di mafia. Le sue dichiarazioni hanno permesso di fare luce su molti episodi oscuri della storia recente d’Italia: dalla strage di via D’Amelio agli attentati del 1993 a Firenze, Milano e Roma, fino ai rapporti tra Cosa Nostra e i vertici della politica, compresi i legami con la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista e Forza Italia.
Brusca è stato anche il primo collaboratore a parlare apertamente della cosiddetta “Trattativa Stato-mafia”, ovvero il presunto dialogo avviato tra alti ufficiali del ROS e i boss mafiosi tra la morte di Falcone e quella di Paolo Borsellino.
Perché è libero?
La sua scarcerazione è il risultato di una legge voluta proprio da Giovanni Falcone. Il magistrato, consapevole dell’importanza strategica dei pentiti nel combattere la mafia, fu uno dei principali promotori della legge del 15 marzo 1991, n. 82. Tale norma prevede una significativa riduzione della pena per i collaboratori di giustizia che forniscono un apporto determinante alle indagini. Brusca, che ha ricevuto una condanna a 26 anni di carcere invece dell’ergastolo, ha scontato la sua pena e ha poi affrontato altri quattro anni di libertà vigilata.
Oggi vive sotto falsa identità, lontano dalla Sicilia, e rimane inserito in un programma di protezione riservato.
Le polemiche che seguirono la sua scarcerazione nel 2021 si sono ora riaccese. Per le famiglie delle vittime, per molti cittadini e per parte del mondo politico, la libertà di Brusca rappresenta una ferita aperta nel cuore della giustizia italiana. Per altri, è il prezzo – alto, durissimo – da pagare per far emergere la verità e provare a spezzare le catene dell’omertà mafiosa.
Brusca rimane un simbolo controverso: del terrore mafioso, certo, ma anche della strategia giudiziaria che, usando le confessioni dei pentiti, ha permesso allo Stato di colpire la mafia al cuore. È una storia che divide, ma che, nel bene e nel male, continua a interrogare la coscienza civile del Paese.
