Ciacc-àre, a Napoli nasce il collettivo femminista contro il sessismo di massa


Nato sulla scia del movimento globale di “Ni una menos”, il collettivo napoletano tutto al femminile è riuscito a farsi conoscere, attraverso innovativi attacchi al patriarcato e al sessismo. “Ciacc-àre”, questo il nome adottato dall’assemblea: un gioco di parole che sottolinea l’importanza dell’autodifesa, applicata nella vita di tutti i giorni.

Quindi  “ciaccare”, che in napoletano vuol dire ferire alla testa, assume attraverso i manifesti del gruppo anche il significato di abbattere il patriarcato. “Donna contro il patriarcato, vita contro il capitalismo e libertà contro lo stato”, è il famoso motto delle donne curde, preso in prestito dal movimento. Il famoso collettivo opera costantemente per scardinare i ruoli costruiti dalla società, uccidendo letteralmente il sessismo. Attraverso pratiche di resistenza che vanno dai semplici incontri, in cui tutti raccontano le esperienze di oppressione che unisce spesso tutte le donne, fino a corsi di autodifesa, che si tengono già da dicembre nella Palestra Popolare Vincenzo Leone,“Ciacc-àre” sta riscuotendo successo nel capoluogo campano.

La loro pagina Facebook, seguita non solo donne, piena di manifesti contro la violenza fisica e mentale subita dai deboli, sta diventando ogni giorno una realtà più consistente. Delle diverse esperienze del collettivo e della sua nascita, noi di Vesuvio Live ne abbiamo parlato con due componenti.

Chi siete e com’è nato il collettivo “Ciacc-àre” di cui tutta Napoli parla?

“Attraverso quest’intervista rappresentiamo la nostra collettività, dire chi siamo non avrebbe senso. Da un paio d’anni ci siamo avvicinate ad un collettivo, che esiste da 7 anni, e non si occupa solo di problemi studenteschi.   Ci ritroviamo tutti per le assemblee alla Mensa Occupata in via Mezzocannone 14. Ed è un anno e mezzo, quasi due,   che noi ragazze abbiamo deciso di creare un’assemblea di sole donne. Contemporaneamente all’espandersi del movimento globale di “Ni una menos”, nato in Argentina, abbiamo iniziato ad interrogarci su questioni che già ci ponevamo individualmente. Noi conversiamo sul modo in cui spesso siamo trattati dalla nostra società”.

“Inizialmente parlavamo delle nostre esperienze di donne, dall’adolescenza in poi, di ciò che non ci ha turbate in alcun modo, in un primo momento. Sentir raccontare da altri negli stessi termini in cui una di noi aveva vissuto certe situazioni, ci ha fatto rendere conto quanto sia subdola l’oppressione che subiamo. Viviamo una violenza psicologica a partire dal quotidiano, dal rapporto col proprio partner fino ad arrivare al mondo del lavoro. Non solo, questa tipologia di sopraffazione è vissuta anche nell’ambiente domestico: un padre che dice devi lavare tu i piatti, la donna deve pulire. Abbiamo maturato queste consapevolezze in due anni ed è fondamentale che tutto ciò sia sorretto da una base collettiva. Individualmente quando subisci determinate violenze non si ha la capacità di riconoscerle, reagire o si è portati a pensare che sia solo una suggestione”.

“Nel nostro spazio si  parla di tutto, anche di razzismo, in un ottica per decostruire una serie di oppressioni e volta alla valorizzazione delle diversità. A noi non importa delle quote rosa, vogliamo solo essere rispettate in quanto donne e non come “la moglie di, la fidanzata di”. Abbiamo anche scritto una sorta di dizionario femminista che si chiama “treciacc-àre”. Anche in questo caso abbiamo giocato con le parole: dalla Trecani alla Treciacc-àre. Ovviamente, il dizionario è in corso d’opera. L’abbiamo stampato e presentato alla mensa. Nuove proposte sono benvenute e anche suggerimenti. Ad oggetto d’esame del dizionario ci sono termini come mainsplaning, violenza di genere, trans femminismo, all’eco femminismo. Abbiamo provato a spiegare ciò che per noi rappresentano questi concetti per provare a sviluppare un dibattito in chi lo legge” .

Photo: pagina Facebook Ciacc-àre

Quali esperienze in particolare hanno portato alla creazione di questo progetto, mettendo nero su bianco sulla vostra pagina Facebook tematiche forti come il patriarcato?

“Ognuna di noi si è ritrovata a voler reagire a ciò che subiva nel quotidiano, dal fischio per strada al commento volgare. Ed ancora, alla paura di ritornare sola a casa, tenendo stretta tra le mani le proprie chiavi. Quei piccoli arnesi sono l’unico strumento che ti fa sentire un pochino più sicura”.

“Quando cammini da sola, non pensi al furto, ma alla violenza. Uno degli episodi, che ci ha impressionato e sconcertate, ha avuto luogo a fine novembre. Ero di ritorno dal corteo nazionale di “Ni una menos” da Roma, ci fermammo ad una pizzeria del centro di Napoli. Con noi avevamo i cartelli dei nostri manifesti. Il pizzaiolo si vantò di essersi comportato con le donne sempre in maniera ineccepibile. Ma, di punto in bianco, disse che è colpa nostra se ci facciamo ammazzare, siamo noi che non reagiamo, siamo noi che lo permettiamo. Tutto ciò lo ripeto per far comprendere che chiunque non abbia gli strumenti deve essere aiutato da chi invece li sta acquisendo, parlandone”.

“Siamo un gruppo e il progetto vuole attraversare gli spazi e farsi attraversare in maniera sana dalle persone che si trovano ad interagire con noi nel nostro spazio, nell’università, nella vita personale. Attraverso l’autocoscienza, dovremmo avere tutti la possibilità  di poter guardarci negli occhi e capire ciò che succede intorno a noi, prendere atto delle nostre soppressioni, organizzandoci, sviluppando una riflessione anche di fronte all’ignoranza, affrontando dei discorsi anche con chi a primo impatto non recepisce, la prossima volta saranno loro a venire da te e parlare di quella cosa”.

Quante sono le donne che oggi partecipano al vostro collettivo? Ci sono o ci sono mai stati anche ragazzi nel gruppo?

“Il numero delle ragazze nel collettivo varia: nella nostra assemblea hanno fatto parte anche studentesse Erasmus che periodicamente vanno e vengono e una volta era presente anche una ragazza curda, per questo motivo pratichiamo  femminismo intersezionale. Se il collettivo, prima delle Ciacc-àre, lottava per il diritto allo studio,  al lavoro, ma non in un ottica femminista, attraverso la nostra assemblea c’è stato questo salto. Noi usiamo il femminismo come approccio a tutte le diverse questioni , perché non è una peculiarità delle donne, non è le “donne odiano gli uomini”, ma un processo rivoluzionario e in controtendenza a quello che è oggi lo status quo. Una liberazione per entrambi i generi. Infatti, anche l’uomo è vittima della mascolinità tossica”.

“Nella nostra assemblea non ci sono uomini, per ora, ma noi facciamo anche parte di un assemblea mista e interagiamo con loro riguardo i suddetti argomenti. A tratti è molto più difficile parlare con il sesso opposto, perché qualsiasi uomo, come qualsiasi donna, è intriso del sistema patriarcale di cui fa parte. Spesso le donne sono sessiste con le altre donne e sessiste con se stesse”.

Photo: pagina Facebook Ciacc-àre

Solo gli uomini dovrebbero cambiare il loro comportamento nei confronti del sesso opposto o anche le donne? Entrambi i sessi hanno dato il via ad uno sviluppo senza eguali del sessismo?

“Anche le donne devono cambiare il proprio atteggiamento nei confronti degli uomini. Si pensi solo alla frase “io sono diversa dalle altre”, che sottintende una competizione tra lo stesso sesso, provocando un odio che ci viene iniettato fin da piccole. In assemblea, altresì, parliamo anche di sorellanza, dello sviluppo dell’amore reciproco, conoscendoci, senza volerci scavalcare. Per quanto riguarda il sessismo e il patriarcato sono una diretta conseguenza del capitalismo e finché viviamo in una società a base capitalistica è  ineliminabile la componente patriarcale, strettamente funzionale e strumentale al mantenimento di determinati rapporti di potere. Un aspetto che si evince sul posto di lavoro, infatti, è il mensile inferiore delle donne, il modo differente in cui viene trattata. La chiesa, poi, contribuisce a mantenere inalterati determinati meccanismi, una conservazione di ruoli e di genere molto accentuata, ma in generale il problema esiste a prescindere dal contesto ecclesiastico” .

Ciacc-àreIl femminismo è inteso in diversi modi e ci sono vari movimenti femministi, cosa avete in comune con gli altri movimenti e cosa di diverso rispetto a questi ultimi?

“Prendiamo le distanze da quello che potrebbe essere il femminismo borghese, cioè “io odio gli uomini”. Noi abbracciamo il femminismo intersezionale: antisessista, antirazzista, anticapitalista, antifascista, con un filo conduttore che lega tutte queste istanze e oppressioni per portare ad una soluzione comune, così che tutti gli oppressi si liberino insieme. Il nostro non è solo femminismo, ma anche trans femminismo, allarghiamo la nostra visione a tutti i soggetti non etero normativi e agli uomini, non immuni ai diversi schemi patriarcali. Un esempio è visione dell’uomo  che non può piangere e deve essere per forza forte

“Appoggiando diversi tipi di femminismo, appoggiamo inevitabilmente anche diversi tipi di proteste che vengono portate avanti, anche la violenza, ma come strumento di liberazione dall’oppressione. Quindi se tu cerchi di sopraffarmi attraverso l’aggressività, io userò a sua volta il suddetto meccanismo, se si rende necessario. Come collettivo rivendichiamo, quindi, anche la violenza quando si rende necessaria per affermare la nostra soggettività, il nostro essere persone e in quanto tali da rispettare”.


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