Ambulante ucciso a botte, la gente filma e non interviene: una società che mette i brividi


Ormai da giorni l’Italia intera parla dell’omicidio di Alika Ogorchukwu, ambulante nigeriano di 39 anni ucciso praticamente senza motivo a Civitanova Marche da Filippo Claudio Giuseppe Ferlazzo, un operaio di 32 anni di origini salernitane. Quest’ultimo avrebbe compiuto il gesto, afferma, perché Alika avrebbe chiesto l’elemosina alla sua fidanzata tenendola per un braccio: questa l’assurda spiegazione data da Ferlazzo (e confermata dalla donna) che quindi ha prima picchiato l’uomo usando la sua stessa stampella, poi gli è salito addosso e lo ha pestato a mani nude fino ad ammazzarlo.

Il suo avvocato, Roberta Bizzarri, ha affermato che Ferlazzo ha successivamente collaborato con gli inquirenti, ha chiesto scusa e ha chiarito che non c’è stata alcuna motivazione di tipo razziale. Posizione condivisa dalla Procura: qualunque fosse stato il colore della pelle di Alika, Ferlazzo lo avrebbe ucciso senza pietà. Questi sono i fatti e fanno semplicemente rabbrividire: al posto di Alika avrebbe potuto esserci chiunque, forse sarebbe bastato un minimo per “impressionare” l’operaio che avrebbe quindi reagito in quel modo. Al posto di Alika poteva esserci uno qualunque di noi.

Al posto di Alika poteva esserci uno qualunque di noi e nessuno ci avrebbe salvato

Ma fa rabbrividire anche che esista un filmato dell’assassinio, dove si sentono le persone dire a Ferlazzo di fermarsi perché “così lo uccidi”, ma che nessuno si sia mosso in tempo per evitare questa morte assurda. Invece di intervenire per salvare una vita, si è preferito tirare fuori il cellulare per fare un filmato e constatando che nessuno separava i due uomini si è continuato a filmare. Non è bastato che l’operaio strappasse la stampella dalle mani di un Alika zoppo e dunque notevolmente più debole; non è bastato vederlo infierire a terra mentre il nigeriano tentava invano di difendersi. In quel momento è stato ritenuto più importante ed utile fare un video al posto di agire per evitare conseguenze, che poi si sono verificate e nel massimo grado possibile della gravità. Al posto di Alika poteva esserci uno qualunque di noi, e nessuno ci avrebbe salvato.

Il quotidiano La Repubblica ha riportato la testimonianza di un uomo, fermo ad aspettare l’autobus, che ha detto: Smettetela di dire che nessuno è intervenuto per salvare Alika, smettetela di accusarci di indifferenza. Io c’ero mentre quell’energumeno uccideva Alika, ho provato a fermarlo, non ci sono riuscito, però ho chiamato la polizia e l’ho fatto arrestare. Era impossibile dividerli, quel tipo era feroce. Gli gridavo: basta, lo ammazzi, mi sono avvicinato e con un calcio ho allontanato la stampella con cui stava colpendo Alika. Inutile, perché Ferlazzo lo stava finendo a mani nude. Per poi alzarsi e andare via”.

L’uomo afferma che sono stati in quattro ad assistere alla scena: lui, una ragazza che pure ha filmato, un’anziana e un altro uomo con un cane. La ragazza sostiene invece di essersi paralizzata davanti a quella crudeltà e di essere soltanto riuscita a prendere il telefono per filmare in modo da creare una prova, una testimonianza. Il fatto sarebbe durato in tutto, sostiene l’uomo che aspettava l’autobus, diciassette minuti.

Davanti alla violenza sappiamo solo filmare

Nonostante queste testimonianze l’interrogativo continua a imporsi: non si poteva realmente fare di più per fermare Ferlazzo? E se la ragazza, invece di difendersi dietro lo smartphone, avesse dato una mano all’uomo dell’autobus? Ed ancora, se uno degli altri presenti avesse usato la stampella per aiutare a sua volta gli altri due a neutralizzare l’assassino? Nessuno ha pensato di fermare altri passanti o chiedere aiuto a negozianti e residenti? Certamente da fuori, con lucidità e con il senno di poi è semplice dire tutto ciò che si poteva fare. Non vogliamo negarlo. Eppure l’interrogativo resta ed è enorme quanto un palazzo: perché davanti alla violenza non siamo capaci di intervenire, ma solo di filmare?


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