Barra, bagnata dal fiume Sebeto a gioiello del Miglio d’oro. Perché si chiama così?


Al tempo dell’antica Grecia, quando Napoli veniva ancora identificata in tutto il mondo conosciuto con l’appellativo di Nea-polis, le terre circostanti alla città avevano già conosciuto un forte popolamento; tra queste c’era anche l’attuale territorio di Barra.

Neapolis fu fondata nel 470 a.C. e fu annessa ai domini di Roma nel 326 a.C. In questo lasso di tempo, intorno al 400 a.C., avvenne il processo di insediamento di Barra, dovuto all’arrivo dei Sanniti.
A riprova di questo precoce stabilirsi della popolazione nella zona orientale di Napoli, tra il 1840 ed il 1855, i lavori di scavi hanno rinvenuto una necropoli greca. Allo stesso modo è riapparsa una necropoli romana nel 1865.

Nel 73 a.C. ebbe luogo la celeberrima ribellione degli schiavi guidati da Spartaco e, pare, in seguito alla lotta con l’esercito romano avvenuta sul Vesuvio, i superstiti si stabilirono proprio nei campi barresi, in cerca di terre da coltivare. Nel periodo ducale troviamo menzionato nei documenti il Territorium plagiense o Foris flubeum: il fiume Sebeto, il mare ed il Vesuvio marcavano i confini di questa area fertile.

Nel 79 d.C. queste terre furono scosse dall’eruzione del Vesuvio che seguiva un ulteriore periodo di instabilità dovuto alle guerre successive alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente ed ai saccheggiamenti da parte dei banditi. Si aggiunse il fenomeno delle “lave dell’acqua”, torrenti di acqua piovana che precipitavano dai monti limitrofi, tracciando nel terreno le “cupe” tuttora visibili.

Solo l’autonomia del Ducato napoletano nell’ 840 riuscì a riportare quelle terre, ormai divenute paludose, alla consueta attività agricola ed al ripopolamento.Bonificati i terreni feudali appartenenti ai ricchi casati nobili partenopei od ai complessi monastici, si formarono i tre piccoli complessi abitativi da cui si svilupperà il Casale della Barra: questi ridotti agglomerati di casali agricoli portavano il nome di Sirinum, Casabalera e Tresano.

Ogni nucleo aveva caratteristiche diverse: Sirinum era devota a Sant’Atanasio e gli aveva dedicato una piccola cappella (l’attuale Arciconfraternita della SS. Annunziata); un pozzo costruito al centro di Casabalera battezzerà la contrada che nascerà successivamente con il nome di Santa Maria del Pozzo; in Tresano vi erano insediamenti ebraici.

La dominazione normanna, avuta dal 1140 al 1194, produsse benefici tecnici alla popolazione rurale introducendo l’orti-cultura, pratica agricola già nota agli arabi. L’approfondimento degli studi geografici, la trattura della seta e la lavorazione del lino furono le altre novità apportate alle attività artigianali e lavorative barresi.

Federico II di Svevia apportò una svolta epocale alle sponde bagnate dal fiume Sebeto con l’acquisizione del demanio regio di tutte le terre circostanti la città, in modo da sottrarre queste terre ai nobili e portarle sotto il controllo imperiale, a favore di una maggiore difesa militare e soprattutto di un massiccio rifornimento di alimenti per la capitale, scavalcando ogni tipo di privilegio feudale dei baroni. Chi maggiormente beneficò di questo editto fu il ceto dei braccianti che poté slegarsi dalle imposizioni e dai soprusi dei padroni e del clero, potendo finalmente giovarsi delle ricchezze naturali della terra demaniale senza dover versare una buona parte del loro raccolto ai baroni.

In questo periodo i nuclei abitativi come il Sirinum, la Casabalera ed il Tresano acquisirono l’autonomia amministrativa e giuridica divenendo a tutti gli effetti Casali. Successivamente, quando gli Angioini entrarono in possesso del Regno e dovettero ricambiare i favori avuti dai nobili napoletani per vincere la battaglia di Benevento contro Manfredi, diedero in feudo numerose terre demaniali tra cui il Casale della Barra de Coczis, ex circoscrizione di Tresano, venduto nel 1275 da re Carlo I d’Angiò alla famiglia borghese de’ Coczis. Il nominativo Barra de’ Coczis deriva dal fatto che la famiglia borghese proprietaria della terra riscuoteva i salatissimi contributi dei ceti più poveri, le cosiddette gabelle, presso una sbarra o barra che marcava il territorio di loro proprietà.

Le condizioni delle classi meno agiate migliorarono nell’età aragonese quando, per arginare il fenomeno di immigrazione dalle campagne verso l’interno delle mura della capitale partenopea, Ferrante I d’Aragona liberò i contadini dal peso che gravava sulle loro spalle delle tasse e proseguì il processo di prosciugamento delle paludi grazie ad un capillare sistema di canalizzazione delle acque che sfociavano nel maestoso “Fosso Reale” (1485).
Queste grandi opere diedero il via, nel 1490, alla fusione di Sirinum, nel frattempo infeudata anch’essa, ed il Casale della Barra de’ Coczis nell’unico Casale di “Barra (o Varra) di Serino”, simboleggiato dallo stemma della Sirena ed unite nella diocesi facente capo all’antica chiesa di S.Atanasio. Seguì un lungo periodo di insediamenti da parte di vari ordini religiosi dovuto al Concilio di Trento, tra cui i frati Francescani, Domenicani e Benedettini, quest’ultimi costretti ad andare via perché continuamente molestati da banditi e ladri locali.

Nel corso del seicento giunsero gruppi di aristocratici che si andarono a sommare ad un contesto sociale prettamente contadino e monacale, tra questi c’era il mercante e mecenate fiammingo Gaspare Roomer che fece edificare lì la sua villa poi acquisita nel settecento dai principi Sanseverino di Bisignano. Il mecenate fu solo l’apripista di un fenomeno che ebbe seguito immediatamente con l’erezione della Villa Finizio (dimora del grande archeologo Bernardo Quaranta), Villa Filomena e Villa Amalia ma che esplose definitivamente nel settecento con la nascita del Miglio d’oro.

Il Miglio d’oro comprende gli odierni quartieri di Barra e San Giovanni a Teduccio oltre ai comuni di San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano e Torre del Greco ed è definito “d’oro” in quanto vide la costruzione delle ville vesuviane, splendide residenze nobiliari.

Carlo di Borbone rimase folgorato dal meraviglioso panorama napoletano e decise che su quello sfondo incantevole sarebbe dovuta svettare la Reggia di Portici. Così i nobili della sua corte, non volendo essere da meno, iniziarono un processo di espansione edilizia che interessò anche Barra. Vennero innalzate undici ville vesuviane solo nel territorio barrese, come Villa Mastellone e Villa de Cristoforo restaurate le ville del secolo precedente tra cui la già citata Villa Roomer.

Nel 1816 con la seconda restaurazione borbonica nacque ufficialmente il comune di Barra che fu eletto capoluogo del Circondario fino al 1860, anno dell’annessione al Regno di Sardegna. Il Circondario di Barra comprendeva i comuni di Ponticelli, San Giovanni a Teduccio e San Giorgio a Cremano, tutti dipendenti dal distretto di Napoli.

Sconvolto dalle epidemie di colera del 1836 e del 1884, il comune di Barra fu destinato al ridimensionamento prima dall’annessione al comune di Napoli come suo quartiere voluta dal Regio decreto fascista del novembre del 1925, poi dal prolificare di rioni popolari sovrappopolati e malsani nel secondo dopoguerra. Il processo di industrializzazione, cominciato dal sorgere della raffineria progettata dal regime fascista, inclinò pesantemente l’assetto agricolo che da sempre aveva caratterizzato il territorio che una volta era stato la terra fertile, contesa tra impero e feudo, bagnata dal fiume Sebeto.

 

Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Barra_(quartiere_di_Napoli)

Barra di Napoli Grande Storia


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