Coronavirus, l’indegna caccia ai nomi dei contagiati: abbiamo perso l’umanità


Se si prosegue a vivere nell’istintività perdendo il lume della ragione faremo una brutta fine. La storia del Coronavirus, del suo diffondersi, sta riesumando il peggio degli esseri umani. A ciò va ad aggiungersi la totale mancanza di fiducia e senso di appartenenza ad una comunità.

La paura del contagio avvolge la mente in una nube diventata incapace di riflettere, di ritrovare quell’umanità e spirito di collaborazione. E’ partita la caccia agli untori del virus o peggio la ricerca spasmodica di conoscere nel dettaglio l’anagrafica, la residenza e tutte le conoscenze della persona contagiata.

In alcuni casi chi professa tale intendimento lo sbandiera ai quattro venti ritenendolo un diritto legittimo.. Perché è necessario proteggersi, evitare di far entrare nella impermeabilità del proprio nucleo familiare la possibilità di infettarsi. Ma allo stesso tempo si pretende di penetrare nel dramma di vite ancorate alla speranza che l’isolamento e la malattia possano diventare solo un brutto sogno. Si è persa l’umanità. Mentre si cerca di conoscere tutto del contagiato, il sabato sera si va allegramente in pizzeria, rischiando di venire a contatto con il virus. Oppure si fanno giocare i propri figli con altri bambini. Che in tempi normali sarebbe la cosa più normale di questo mondo.

L’unico diritto sarebbe invece quello di pretendere la verità dagli organi preposti a fronteggiare l’emergenza e al contempo rispettare le precauzioni che ogni giorno vengono ripetute come un disco rotto. Basta questo o almeno facciamocelo bastare se si vuol custodire quel che resta del senso di una umanità quasi perduta.

A tal proposito si è espresso il Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Regione Puglia: “Oltre che rappresentare un reato, diffondere nomi, dati sensibili e foto tramite strumenti di messaggistica e social network, è dannoso per l’intera comunità. La nostra quotidianità è basata su certezze, in questo momento si è creato un vuoto all’interno del quale è fisiologico si annidino ansia e angoscia perché c’è qualcosa che non riusciamo a controllare, ma non possiamo perdere la certezza di riconoscere un senso di collettività. Se ci rendiamo protagonisti diretti o indiretti della caccia al nome dei contagiati, stiamo creando noi stessi i presupposti per spezzare quel patto di rispetto e fiducia che dovrebbe esserci in una comunità”. 


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