Variante italiana del Covid-19: cosa sappiamo sulla sua pericolosità

variante italiana

Il caso della variante inglese del Coronavirus, resa nota dal mese di settembre, ha sconvolto e spaventato in molti. Nuovi dubbi e preoccupazioni sono sorti, portando a domandarsi se esistessero effettivamente altre varianti e se limitassero l’efficacia dei vaccini da poco creati. Come riportato da Open, la variante inglese del virus non è l’unica attualmente esistente – riscontrati diversi mutamenti in Sudafrica, Spagna e Repubblica Ceca –  e sarebbe neanche la prima. Tale primato apparterrebbe ad una variante italiana.

Il caso della variante italiana

Gli studi hanno portato alla luce che le varianti sono dovute a mutamenti di porzioni della glicoproteina Spike (S). Arnaldo Caruso, Presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), ha definito la Spike (S) come “l’uncino che il virus usa per attaccare il recettore presente sulle cellule bersaglio nel nostro organismo”. Tali mutazioni quindi potrebbero variare la capacità del virus di legarsi ai recettori delle cellule.

Nonostante ciò, non è stata rilevata alcuna evidenza di un incremento di pericolosità del virus, neanche nella variante italiana. Come dichiarato da Caruso ad AdnKronos, la variante era presente in un paziente almeno da aprile. Ad agosto, benché il paziente sembrerebbe esser guarito, continuava a risultare positivo e con un’altra carica virale.

A dispetto delle stime rispetto a una maggiore trasmissibilità o pericolosità delle altre varianti, scarseggiano le evidenze riguardo a un incremento di pericolosità del virus. Questo al momento riguarderebbe anche la variante italiana. Furono quindi isolati i mutanti virali a Brescia, sede del laboratorio di microbiologia dell’Asst Spedali Civili, presieduto dallo stesso Caruso, dove è emersa la variante.

L’incertezza degli studi

Secondo dalle analisi temporali condotte dai ricercatori dell’Università Campus BioMedico di Roma, guidati dall’epidemiologo Massimo Ciccozzi, la variante risalirebbe ai primi di luglio. Ciò però non vuol dire che la variante inglese derivi automaticamente da quella italiana. Infatti, si hanno pochi dati a disposizione, oltre che frammentari, e risulta alquanto difficile poter stimare con precisione le date.

“Non sappiamo se la variante inglese è emersa esattamente a fine settembre, così come la nostra ai primi di agosto.” afferma Caruso ad AdnKronos. “Quel che possiamo affermare dagli studi del collega Ciccozzi è che la nostra è di certo la prima evidenza di mutazioni nella proteina Spike a livello della posizione 501 in Italia e forse, almeno ad oggi, in Europa. L’omologia di sequenza tra la variante da noi identificata e quella inglese porta a pensare che la prima possa avere di fatto generato le altre che oggi stanno emergendo nel nostro continente. Ma per affermare questo è necessario ricostruirne i passaggi, e servono tante analisi del genoma virale ancora non disponibili.”


Condotto dallo stesso Ciccozzi un’altra indagine assieme alla sua squadra, che riguarderebbe il monitoraggio di 13 diversi lignaggi del virus. Al momento, nessuna variante rilevata è pericolosa. Quelle attualmente diffuse, invece, non sembrano causare problemi rilevanti nell’efficacia dei vaccini e di test diagnostici standard.

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