Secondo dalle analisi temporali condotte dai ricercatori dell’Università Campus BioMedico di Roma, guidati dall’epidemiologo Massimo Ciccozzi, la variante risalirebbe ai primi di luglio. Ciò però non vuol dire che la variante inglese derivi automaticamente da quella italiana. Infatti, si hanno pochi dati a disposizione, oltre che frammentari, e risulta alquanto difficile poter stimare con precisione le date.

“Non sappiamo se la variante inglese è emersa esattamente a fine settembre, così come la nostra ai primi di agosto.” afferma Caruso ad AdnKronos. “Quel che possiamo affermare dagli studi del collega Ciccozzi è che la nostra è di certo la prima evidenza di mutazioni nella proteina Spike a livello della posizione 501 in Italia e forse, almeno ad oggi, in Europa. L’omologia di sequenza tra la variante da noi identificata e quella inglese porta a pensare che la prima possa avere di fatto generato le altre che oggi stanno emergendo nel nostro continente. Ma per affermare questo è necessario ricostruirne i passaggi, e servono tante analisi del genoma virale ancora non disponibili.”

Condotto dallo stesso Ciccozzi un’altra indagine assieme alla sua squadra, che riguarderebbe il monitoraggio di 13 diversi lignaggi del virus. Al momento, nessuna variante rilevata è pericolosa. Quelle attualmente diffuse, invece, non sembrano causare problemi rilevanti nell’efficacia dei vaccini e di test diagnostici standard.