Napoli, sciolto nell’acido per errore. Killer offrono 150 mila euro: la famiglia li rifiuta


E’ attesa oggi, a Napoli, la prima udienza del processo per la morte di Giulio Giaccio, l’operaio di soli 26 anni sciolto nell’acido per errore da alcuni esponenti del clan Polverino, imputati che in vista dell’incontro hanno inviato ai giudici e alla famiglia un’offerta di risarcimento.

Napoli, Giulio Giaccio sciolto nell’acido: i killer offrono risarcimento alla famiglia

Era il 20 luglio del 2000 quando il giovane, che si trovava a Pianura, venne prelevato da finti poliziotti che lo avrebbero scambiato per un’altra persona. Lo scopo sarebbe stato quello di vendicare un torto subito da un boss detenuto (alcune avances alla sorella da parte dell’uomo ricercato).

Giacci provò più volte a spiegare di non avere nulla a che fare con quella storia né con gli ambienti criminali ma non fu creduto. Secondo il racconto di un pentito al ragazzo, entrato in auto, fu chiesto di abbassare il capo per poi ricevere un colpo diretto alla nuca. Il suo corpo sarebbe, poi, stato sciolto nell’acido per far sparire ogni traccia del delitto: pare che qualcuno dei killer abbia lo abbia preso addirittura a martellate sui denti per dissolverli completamente.

Una vicenda che, a distanza di 23 anni, continua a far emergere il suo lato più oscuro con una richiesta di risarcimento avanzata dagli imputati per “risolvere” la questione e probabilmente sfuggire alla condanna all’ergastolo. La vita distrutta di un ragazzo innocente, nel modo più barbaro possibile, in cambio di soldi: tre assegni da 10 mila euro e due immobili dal valore complessivo di 120 mila euro, accompagnati dalle scuse.

Una richiesta che, stando a quanto reso noto da Il Mattino, la famiglia della vittima avrebbe respinto prontamente: la morte di un figlio, un fratello rapito e ucciso senza motivo a soli 26 anni non ha prezzo, solo voglia di giustizia.

“Chiediamo giustizia per chi ha spento il sorriso di Giulio” – hanno sottolineato i familiari di Giulio dopo aver comunicato ufficialmente, tramite una pec firmata dal penalista Alessandro Motta, di rifiutare l’offerta, confidando nelle sole determinazioni dell’autorità giudiziaria.


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