Altro che Napoli, il colera in Italia è arrivato dal Nord


Il colera è una tossinfezione dell’intestino tenue segnalata già nel 1490, sulla zona del delta del Gange, da Vasco da Gama. Dopo la Rivoluzione Industriale i viaggi e i contatti tra popoli lontani aumentarono a dismisura e con questi anche la diffusione della malattia. A partire dal 1817 il morbo si diffuse in tutta Europa a causa della forte urbanizzazione e della vicinanza tra una città e l’altra.

La penisola italiana non fece eccezione e, già a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, le autorità sanitarie degli Stati preunitari che maggiormente intrattenevano rapporti commerciali con altre nazioni corsero ai ripari. Vennero istituiti cordoni sanitari terrestri e marittimi, le navi provenienti da zone sospette dovevano osservare un regime di quarantena, ci fu l’istituzione di lazzaretti e furono varate leggi che prevedevano la pena di morte per tutti coloro i quali avessero violato tali disposizioni sanitarie.

Solo Genova, Livorno e Venezia non presero provvedimenti così rigidi in quanto una politica oltremodo intransigente avrebbe avuto forti ripercussioni sui traffici marittimi, principale motore della loro economia.

Il 27 luglio del 1835 il cordone venne rotto dai contrabbandieri e l’epidemia iniziò a diffondersi da Nizza verso Torino e Cuneo. In poco meno di un anno tutto il nord Italia venne travolto dal colera che si diffuse rapidissimamente. Nel 1837 furono contagiate anche Napoli e Bari. Con la fine dell’anno si credette che l’epidemia fosse stata scongiurata e i controlli iniziarono ad allentarsi ma la tossinfezione riscoppiò a Napoli coinvolgendo gran parte del Mezzogiorno continentale e la Sicilia.

Colera a Napoli

Colera, epidemia del 1973

Altre tre furono le ondate epidemiche che, nel corso del XIX secolo, riguardarono da vicino l’Italia. Il secondo focolare nacque in Russia e in Polonia e si diffuse ripercorrendo il corso del Danubio, i vettori della malattia furono i soldati austriaci impegnati nel contenimento dei moti del 1848.

Le prime zone colpite, sull’attuale territorio italiano, furono la Lombardia, il Veneto e qualche località dell’Emilia. Il fervore causato dal clima insurrezionale rese difficoltosa l’applicazione di quelle misure che si erano rivelate fondamentali per fronteggiare la prima emergenza.

Nel 1854 una nave che salpava dall’India alla volta dell’Inghilterra fu la causa della terza ondata epidemica. Le autorità inglesi non ravvisando il pericolo, permisero lo sbarco dei passeggeri. Il morbo corse veloce per l’Europa ancora una volta.

Genova fu la prima città italiana ad essere colpita ma non ritenne necessario avvisare gli organi preposti degli altri Stati preunitari che vennero sorpresi dalla nuova manifestazione di colera che fu molto violenta e si diffuse da nord a sud. Si pensi che il focolaio si spense solo dopo essersi diffuso in 4.468 comuni italiani contro i 2.998 della prima epidemia e i 364 della seconda. La quarta ed ultima epidemia si verificò tra il 1865 e il 1867.

Questa ebbe una portata ed una diffusione meno importanti in quanto le grandi città italiane avevano applicato le norme della conferenza sanitaria internazionale del 1851, aumentando di molto il livello d’igiene delle strade.
Le scoperte in ambito scientifico si rivelarono fondamentali per affrontare meglio la malattia che comunque si ripresentò ancora anche se con conseguenze meno devastanti rispetto ai casi riportati.

L’ultimo focolaio italiano degno di nota fu quello del 1893 ma grazie alla “legge per il risanamento della città di Napoli” sia il capoluogo campano che altre città italiane poterono usufruire d’importanti benefici come: l’edificazione di un nuovo sistema fognario, la realizzazione di nuove strade e quartieri. Tali provvedimenti resero le violente ondate epidemiche dei decenni precedenti solo un triste ricordo.

Per quanto riguarda Napoli, l’ultimo episodio rilevante di colera tra la popolazione risale al 1973, quando a diffondere il morbo fu una partita di cozze proveniente dalla Tunisia. Napoli debellò il colera in una ventina di giorni, mentre Barcellona impiegò addirittura due anni. Circostanze che, tuttavia, impiegarono molto tempo prima di essere raccontate  dai giornali, quando ormai la città partenopea fu additata ed etichettata. Pregiudizi che, senza motivo, resistono ancora oggi e vengono sbandierata ad ogni possibile occasione, come successo nei recenti casi di contagio di cui sono state protagoniste alcune persone, le quali hanno contratto la malattia all’estero.


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