La storia dello scugnizzo Mandragora: dai campetti di Scampia al sogno Nazionale


Rolando Mandragora ha 20 anni, la faccia pulita e un accento difficile da decifrare, ma che certamente non si direbbe “meridionale”. La sua carta d’identità, però, parla per lui: nasce a Ponticelli nel 1997, in uno dei quartieri più abbandonati di Napoli, poi i primi calci ad un pallone sui campetti di Scampia.

Ma Rolando ai sogni ha unito lavoro e sacrificio, aiutato da una famiglia in cui il calcio è un mantra di vita e non un luogo mistico in cui sperare di sistemare in futuro il proprio figlio. Suo papà, infatti, come racconta Rosario Esposito La Rossa per La Repubblica, è un allenatore di base dei ragazzini, e oggi collabora con la Scuola Calcio Fabio e Paolo Cannavaro; suo zio è un allenatore professionista e i suoi cugini giocano a calcio a 5.

Quando era ancora un bambino, Rolando girava l’Italia per fare provini: più di venti. Solo complimenti, di tesseramenti neanche l’ombra. Fino a quando, all’età di 14 anni, arriva la chiamata del Genoa. Genova, ottocento chilometri lontano da casa. Per un adolescente nato in periferia è un salto non da poco, ma Rolando è caduto in piedi. Nelle giovanili rossoblu diventa un pilastro, fino al debutto in A, a soli 17 anni. Centrocampista centrale e regista, è il pupillo di Gasperini che lo considera un talento puro.

Poi arrivano l’under 17, 18, 19 e infine 21. Il Genoa lo cede in prestito al Pescara, in B, per fargli fare le ossa. Agli ordini di Massimo Oddo inanella prestazioni importanti che attirano le attenzioni delle big. Lo nota la Juventus, che decide di acquistarlo. Dopo poco, però, arriva un brutto infortunio: frattura al piede destro. Tanti mesi di stop ma zero voglia di arrendersi: ora è tornato a disposizione di Allegri e si allena con i tanti campioni juventini.

Mentre aspetta il debutto con la maglia bianconera, è Ventura a regalargli un grande sogno: la chiamata in Nazionale, per lo stage dedicato ai giovani talenti emergenti. Un sogno, sì, ma anche un premio, per la tenacia, la costanza e gli sforzi che lo hanno spinto e sostenuto anche e soprattutto nei momenti difficili.

La testa è stata la sua più grande vittoria. Con i piedi buoni puoi inventare rabone e cucchiai, ma poi sono i primi a bloccarsi quando la vita ti frena e ti costringe a ripartire più indietro di prima.

Per tutti i ragazzini di Scampia, per quelli di Ponticelli, di Barra, di San Giovanni, per tutti quelli che tirano calci ad un pallone su campetti in terra battuta o nei vicoli del quartiere: la vostra terra non è una condanna. L’orizzonte è a vista anche da un balcone delle Vele. E con talento, passione e sacrificio, si può addirittura raggiungere.


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