Lavezzi indagato: aveva nei bagagli un reperto archeologico


La seconda parte del film “Core ‘ngrato“. Della prima il protagonista fu l’italo-brasiliano Altafini, che passato dal Napoli alla Juve segnò contro la sua ex squadra in una partita-spareggio, strappando agli azzurri l’ambito scudetto. Il secondo tempo è ancora più brutto, forse. Non si tratta ancora una volta di un gol dell’ex, ma sarebbe, ed è giusto utilizzare il condizionale, un atto ancor più brutto ed amaro da digerire. Di seguito l’articolo de Il Mattino che ne sottolinea i particolari.

Brutte notizie per Ezequiel Lavezzi. Non bastavano le grane giudiziarie che l’hanno sfiorato di recente nell’ambito di un’inchiesta che vede coinvolti i suoi procuratori per evasione fiscale internazionale: adesso l’ex calciatore del Napoli è indagato per ricettazione. Il suo nome è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura della Repubblica del capoluogo campano.

I fatti si riferiscono alla primavera di un anno fa. Dobbiamo tornare al periodo che segnò l’addio del Pocho alla squadra azzurra, a quello strappo che determinò l’addio dell’argentino al club di Aurelio De Laurentiis per inquadrare tutto. E, in particolare, al momento in cui Lavezzi traslocò, per trasferirsi in Francia, a Parigi. Era una calda mattina di maggio quando Lavezzi si preparava a imbarcarsi, con una gran quantità di bagagli al seguito, su un volo privato che scaldava i motori sulla pista dell’aeroporto di Capodichino. La sua notorietà e l’affetto che ancora oggi tanti napoletani gli riservano non gli risparmiò, tuttavia, i controlli da parte degli uomini dell’Agenzia delle Dogane. Doveva essere un controllo di routine, si rivelò invece una incredibile scoperta.

Quando un funzionario delle Dogane chiese ai corrieri dell’agenzia assoldata dal calciatore argentino di aprire uno degli scatoloni imballati e già pronti per prendere il volo, si scoprì che al suo interno c’era un reperto archeologico di inestimabile valore. Una statua. Meglio: il busto marmoreo riproducente la testa di un filosofo, risalente all’epoca romana. Un pezzo rarissimo risalente al primo secolo dopo Cristo. Con ogni probabilità il reperto proveniva dalla zona di Pompei. Uno dei (molti) tesori che vengono depredati dai ladri specializzati in furti di reperti artistici archeologici.

Dinanzi a quell’opera nessuno – e tantomeno i doganieri di Capodichino – avrebbe potuto chiudere un occhio. Lavezzi era presente al momento del controllo di quel bagaglio: e quando gli ufficiali gli chiesero conto del come e del perché tra i colli che stavano per essere imbarcati sul Cessna privato noleggiato per il trasferimento a Parigi (Lavezzi ora è in forza al Paris Saint Germain) fosse stata caricata anche una rara e originale opera d’arte di duemila anni fa fece spallucce. «Mi è stata regalata», disse. Ma quella scultura non poteva scambiarsi per una scatola di cioccolatini, e nemmeno per un tappeto. Inevitabilmente fu deciso di sottoporre a sequestro preventivo il pregiato busto. Alle insistenze degli investigatori, il Pocho replicò: «Vi ripeto, io non conosco la provenienza di quest’opera d’arte. Si tratta di un omaggio che mi ha fatto un napoletano che vive a Posillipo. Altro non sono in grado di dirvi».
Punto. Fatto sta che – adesso – Lavezzi risulta iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Napoli.

Indagini in corso da parte dei magistrati della sezione Criminalità comune, coordinata dall’aggiunto Giovanni Melillo. Indagini doverose, perché, al di là della notorietà dell’attaccante argentino, ora si vuole cercare di capire se dietro l’episodio scoperto solo grazie alla solerzia dei doganieri di Capodichino si possa nascondere dell’altro. E cioè un giro ben più vasto, l’ennesimo traffico di opere d’arte, una delle piaghe che ripropongono il drammatico problema in cui versano anche i siti archeologici campani, Pompei in testa.


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