Il mandolino, uno strumento di serie B? Ecco le verità che non conosciamo


Spaghetti, sole e mandolino. Alcuni dei simboli che alimentano lo stereotipo di Napoli nell’immaginario collettivo, nella rappresentazione mentale che da secoli è dura a morire. Tuttavia, gli stereotipi, enfatizzati o pericolosi che siano, hanno inevitabilmente una base di verità, una sorta di ragion d’essere che, se non altro, aiuta a schematizzare la conoscenze (spesso lacunose) che abbiamo del mondo. Prendiamo il mandolino, il romantico strumento musicale legato a Napoli e alle sue melodie popolari. Il mandolino è associato alla città partenopea per giuste ragioni, ma non è dato sapere se realmente le sue prime origini hanno radici a Napoli. Alquanto distorte appaiono, infatti, le informazioni storiche sulla nascita del mandolino, il quale, in effetti, è uno strumento internazionale.

Il legame con Napoli è, tuttavia, indiscusso perché a Napoli è nata, nella metà del XVII secolo, la produzione del mandolino classico per opera della Casa Vinaccia, presso la quale operavano i più grandi maestri liutai della tradizione napoletana. Artigiani della musica e maestri della costruzione, tutt’ora hanno la sede di lavoro al primo piano del Palazzo De Sangro di San Severo, nei pressi di piazza San Domenico Maggiore, cuore del centro storico di Napoli.

Il mandolino è di fatti uno strumento appartenente alla famiglia dei cordofoni, all’interno della categoria dei liuti. La superficialità della conoscenza di massa, spesso, attribuisce al mandolino il semplicistico ruolo di accompagnamento nelle danze popolari, allontanando pertanto lo strumento dal mondo aulico, o culturalmente più elevato, come ad esempio quello della musica classica.

Ciò avviene perché non tutti sanno che il mandolino è stato ed è ampiamente usato a tutti i livelli musicali, da quello popolare della tarantella a quello elevato del mondo teatrale classico. Basta pensare alla celeberrima Funiculì Funiculà, scritta dal compositore napoletano Luigi Denza, allievo di quel Mercadante che spianò la strada a G. Verdi e inserita da R. Strauss nel quarto movimento del suo poema sinfonico Aus Italien, che viene eseguita durante il cambio della guardia al Palazzo Reale di Danimarca.

Oppure a Marechiaro scritta da un altro allievo di MercadanteFrancesco Paolo Tosti, compositore di celebri romanze da camera per cui scrissero Fogazzaro e D’Annunzio; ancora Santa Lucia di Cottrau, tradotta in quasi tutte lingue del mondo (come moltissime canzoni napoletane) e interpretata dai migliori tenori della storia, oggi canto liturgico svedese. Senza contare i mandolini adoperati da Mozart e Beethoven all’interno delle sonatine.

In effetti, si dica quel che si vuole, ma è indubbio che il mandolino è considerato uno strumento di serie B, anche da numerosi musicisti, i quali, probabilmente ne ignorano la storia e la poesia. E su questo esiste, inoltre, una discussione aperta: l’allegato A del decreto 201 del 6 agosto 1999 elenca tutti gli strumenti che possono essere insegnati nelle scuole medie, escludendo appunto il mandolino dalla lista.

Molti, per difendere la rilevanza del mandolino, negano che esso appartenga alla cultura napoletana, come per dargli risonanza internazionale, degna di successo. Ma a questo risponde Marianeve Aricò, giovane appassionata mandolinista, figlia di un noto maestro compositore:

“Insistere sul fatto che il mandolino NON è identificabile con la tradizione napoletana non è il modo giusto per difenderne il prestigio, si alimenta solo una credenza stupida. Il mandolino è associato alla cultura napoletana e questo non lo rende meno importante, prestigioso e degno di rispetto: d’altro canto la musica napoletana è la musica italiana nel mondo.”

E come per sfidare la istituzionale ignoranza o la popolare credenza, a Napoli dal 2015 esiste un Master di I livello sul mandolino, presso la facoltà di Scienze della Formazione. Il Corso di chiama “Pedagogia della musica” e pone al centro lo studio del ‘Mandolino Classico Napoletano’, è stato promosso in collaborazione con l’Accademia Mandolinistica napoletana e il Centro di Lifelong Learning d’Ateneo.

Del resto, “La “napoletanità” non ha bisogno di essere difesa con le parole, si difende benissimo da sola con i fatti ed è solo l’ignoranza che non permette a qualcuno di vederne la grandezza”, afferma la giovane Aricò.

Il mandolino, come ogni sfumatura che colora la nostra cultura, romanticamente ci stringe alla nostra identità, ma lo fa con più armonia e con il suono limpido e brillante dei racconti del passato. Non ascoltarlo è come chiudere gli occhi dinanzi alle verità.

Fonti: ateneapoli; culture.yu-ng.it; espresso/repubblica; chitarra e dintorni; grandenapoli.


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