Chiacchierate Partenopee: Vesuviolive intervista l’artista Paolo Puddu


Paolo Puddu, professione artista. Nato a Napoli nel 1986 consegue il diploma di laurea all’Accademia di Belle Arti di Napoli in arti visive e discipline dello spettacolo con una tesi in pittura dal titolo “geometrie visionarie”. Nel 2011 si trasferisce a Monaco e frequenta l’Akademie der Bildenden Kunste. Poi finalmente torna a Napoli, con grinta e coraggio, pronto a viversi tutte le contraddizioni di questa città.

La tua biografia dice che sei nato a Napoli ma il cognome tradisce origini sarde. Due regioni con un’identità culturale forte e precisa. Credi che la combinazione di queste due culture abbia influito sul tuo percorso artistico oltre che umano?

Questo mio essere al 50% napoletano e al 50% sardo ha inevitabilmente influenzato il mio modo di fare arte. È un aspetto che mi porto dietro fin dalle origini del mio percorso artistico. Tutta la mia ricerca è improntata sul dualismo e quindi sugli aspetti apparentemente contraddittori che cercano di confluire, attraverso una sintesi visiva, in un unico concetto in cui le due cose possono convivere senza escludersi l’un l’altra. Questa doppia identità ha profondamente influito sulla mia ricerca, senza che io lo volessi consapevolmente, non sono stato io a deciderlo, ma pian pian ha plasmato me e le mie opere e solo con la maturità mi sono poi reso conto da dove provenisse tutta questa incredibile energia. Della cultura Sarda in realtà mi porto dietro molti aspetti caratteriali, così come della cultura napoletana, (diciamo che io sono una sorta di punto di mezzo). Ma quello che ha influito di più sulla mia formazione artistica, oltre che umana, è stato “il viaggio” (compiuto ogni anni sin da bambino) da Napoli a Cagliari e viceversa. In mezzo a tutto quel mare, ad un certo punto, la linea dell’orizzonte smetteva di esistere ed il cielo ed il mare diventavano un unico, armonico, blu. Un’immagine ai miei occhi particolarmente metaforica, oltre che poetica. Io sapevo che ad un certo punto, in un punto di mezzo, due mondi contrapposti riuscivano a fondersi e a confondersi. E forse io sento di essere proprio quel punto di mezzo perso in mezzo al mare.

 Napoli negli ultimi anni non ha dimostrato una particolare attenzione nei confronti all’arte e della cultura. Basti pensare al fatto che un teatro come il San Carlo sia a rischio chiusura mentre altre realtà di grande valore sono già scomparse per mancanza di fondi. Come mai nonostante questo stato di aridità apparente sei tornato a Napoli? Scelta o Necessità?

Diciamo un po’ entrambe le cose anche se poi, in fondo in fondo, si torna sempre per scelta. Si va via per capire alcune cose e si torna per capirne altre. Certamente Napoli è una città difficile e la può capire (forse) solo chi in questa contraddittoria città ci è nato e ci ha vissuto, ma nonostante le sue contraddizioni e le sue note dolenti, quando sei fuori ti manca terribilmente e finisci con il tornare. Quindi si, sono tornato per scelta, ma questo non esclude che io possa ripartire nuovamente.

Questa è una città ricca di storia e tradizione. Vivere in una città in cui serpeggia costantemente un onnipotente passato, per un artista contemporaneo, è un limite o fonte di ispirazione?

Ma sicuramente entrambe le cose. Guarda ci riflettevo proprio in questi giorni mentre scrivevo una mail alla mia docente, nonché maestra di vita. Napoli, così come tutta l’Italia è ricca di storia. Abbiamo il privilegio di avere una tradizione artistica senza pari, da cui però non riusciamo a liberarci. È certamente una fonte di ricchezza, perché il sapere è -e rimarrà sempre- una fonte di ricchezza. D’altro canto però,da tutta questa tradizione che continua a permeare la nostra produzione artistica, non riusciamo ad emanciparci. Ce la portiamo addosso come un macigno. È un vero e proprio problema antropologico che ci portiamo dietro da millenni, a differenza di artisti stranieri che devono confrontarsi con culture più giovani. Prendiamo un “paese a caso” : Gli Stati Uniti. A volte osservando le opere di artisti statunitensi si ha l’impressione che siano avvantaggiati in certi aspetti, più liberi, meno condizionati dal peso di millenni di arte e cultura. Basta rifletterci, noi oggi in Italia siamo ancora qui a fare mostre di Leonardo Da Vinci (giustissimo), senza però prendere in considerazione il nuovo. Siamo troppo ancorati ad un passato che in alcuni casi rischia di tarparci le ali. Manca la dialettica tra il vecchio e il nuovo, a Napoli, così come in tutta l’Italia.

Appena un anno fa il museo di arte contemporanea Madre era prossimo alla chiusura. Una situazione disperata che sembra non essersi ancora definitivamente risolta. Tu pensi si possa fare ancora arte a Napoli?

Questa domanda calza a pennello perché quello che volevo dirti prima, a riguardo della seconda domanda, te lo dico adesso. Se sono tornato a Napoli un motivo -ovviamente- c’è. Questa è una città in grado di stimolarti come nessun ’altra città in Europa. Senti che questa terra ha qualcosa da dire, PULSA, è una terra che si muove. Lo senti mentre passeggi nei vicoli a mezzoggiorno così come alle due di notte. Napoli è viva, in continuo fermento. E forse tutti questi stimoli provengono, paradossalmente, dal fatto che fare l’artista a Napoli non è affatto facile, e sai perchè? Perchè a Napoli sono tutti Artisti. Il napoletano ha un potenziale creativo sconosciuto a chiunque. Faccio un esempio. Qualche tempo fa a Piazza Bellini furono montati dei banchetti con alcuni monitor e delle tastiere dove i ragazzi, tra una birra e un sacchetto di noccioline (più comunemente conosciuto come ‘O Spass) potevano sedersi e giocare a Play Station (ovviamente pagando una cifra irrisoria). Per me quella poteva essere considerata una vera e propria istallazione. Scenograficamente bella da vedere e soprattutto capace rispecchiare perfettamente Napoli. In sintesi il problema è di natura ontologica. Napoli ha troppo potenziale, è una città troppo piena di co/alore. Ma una critica a questa città si deve fare. Napoli tende a intrappolare, chiudere richiamare a sé, diventando in alcuni casi pericolosamente campanilista.

Ma è o non è una città che riesce ancora a dare sbocchi a chi fa il tuo mestiere?

Napoli, a mio parere, deve essere un punto di partenza, l’origine da cui tutto nasce. Questa è una città che potrebbe anche dare sbocchi a chi vuole fare il mio mestiere ma è una pazzia pensare di fermarsi e costruire un‘intera carriere esclusivamente a Napoli. Diciamo che come punto di partenza è una città in grado di offrire tantissimo, nonostante le sue infinite contraddizioni.

Quindi, in definitiva, è indispensabile andare via da Napoli?

Inevitabilmente. Ma questo discorso non vale solo per Napoli. A mio avviso un artista deve, ad un certo punto della sua carriera, andare via dal proprio luogo di origine. È una questione di necessità. Bisogna distaccarsi per metabolizzare il proprio bagaglio di esperienze, e magari solo ad un certo punto, ritornare.

Una piccola curiosità personale. Esistono a Napoli spazi interessanti dove poter fare arte?

Si! A Napoli ce ne sono davvero tanti e mi riferisco a tutti quei luoghi dove poter collezionare odori, sapori, fonemi e colori. Si tratta spesso di spazi poco conosciuti dalla critica nazionale ed internazionale ma che in realtà rappresentano il vero futuro dell’arte italiana.

 

 


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