Casamicciola, il terremoto del 1883 con 2300 vittime: il racconto di Benedetto Croce


I detti napoletani non sono mai casuali e hanno sempre una storia che portano con sè, come il caso del modo di dire “è successa una Casamicciola”. Il detto ha origini antichissime e nasce dal terribile terremoto che colpì il comune ischitano e quelli vicini nel 1883.

Il terremoto che ha colpito Ischia ieri non è il primo infatti, ma proprio il 28 luglio 1883, alle ore 21,30 una fortissima scossa, di magnitudo 5.8, distrusse completamente un villaggio di pescatori e di villeggianti, che si trovava all’epoca a Casamicciola.

Ingenti danni colpirono anche i comuni vicini di Lacco Ameno e Forio. Le vittime di quel terremoto furono più di 2300, la maggior parte di Casamicciola. Vi persero la vita anche il padre, la madre e la sorella di Benedetto Croce, il quale, unico a salvarsi, ha lasciato un terribile racconto di quella sera.

Nel suo “Contributo alla critica di me stesso” del 1915, narra tutti gli attimi durante e dopo quel terremoto che gli portò via tutta la sua famiglia.

“Eravamo a tavola per la cena io la mamma, mia sorella ed il babbo che si accingeva a prendere posto. Ad un tratto come alleggerito, vidi mio padre ondeggiare e subito in un baleno sprofondare nel pavimento stranamente apertosi, mia sorella schizzare in alto verso il tetto. Terrorizzato cercai con lo sguardo mia madre che raggiunsi sul balcone dove insieme precipitammo e così io svenni..”

“Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò ch’era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi.”

“Verso la mattina (ma più tardi), fui cavato fuori, se ben ricordo, da due soldati e steso su una barella all’aperto. Lo stordimento della sventura domestica che mi aveva colpito, lo stato morboso del mio organismo che non pativa di alcuna malattia determinata e sembrava patir di tutte, la mancanza di chiarezza su me stesso e sulla via da percorrere, gl’incerti concetti sui fini e sul significato del vivere, e le altre congiunte ansie giovanili, mi toglievano ogni lietezza di speranza e m’inchinavano a considerarmi avvizzito prima di fiorire, vecchio prima che giovane.”

Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio….”.

Per il filosofo napoletano fu l’evento più tragico che segnò la sua vita insieme alla prima guerra mondiale. Pensò addirittura di togliersi la vita, distrutto dal dolore di aver perso a soli 17 anni tutti i suoi affetti.

Fonti:

www.corriere.it

napoli.repubblica.it

digilander.libero.it

www.carabinieri.it

blog.ischia.it


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