Sputtanapoli di Maurizio Zaccone: il libro che smaschera la falsa narrazione di Napoli


Un paradiso abitato da diavoli. E’ il proverbio che si diffuse nel Seicento e Settecento riferito alla città di Napoli, ancora oggi adoperato per la narrazione di fatti e misfatti riguardanti l’ex capitale del Sud. Lo sa bene Maurizio Zaccone, giornalista napoletano e per la prima volta scrittore. Ha lanciato la sua nuovissima opera, Sputtanapoli. Un titolo che volontariamente ne anticipa il contenuto, frutto di un lavoro certosino e maniacale nella ricerca di chi attacca con frasi “Succede solo a Napoli“, “Napoli fa schifo“, “Mica siamo Napoletani?“.

Scrive di Napoli e del Napoli, a difesa dei luoghi comuni che intrappolano da anni la città e il popolo partenopeo. Smaschera le contraddizioni e le critiche pretestuose della stampa. Sui social ha accresciuto la sua popolarità pubblicando fatti e personaggi che nel corso della storia anche recente si sono resi protagonisti di un racconto della città spesso viziato dal pregiudizio, falsato e/o esasperato. Il libro rappresenta una sintesi perfetta per poter comprendere il fenomeno dalle sue origini, riconoscerlo, fornendo gli strumenti necessari per combatterlo.

«Lo sputtanapoli è il bisogno endemico di una parte di popolazione di parlare di Napoli e di usarla come metro di paragone sempre con accezione negativa. E’ la panacea di tutti i mali di chi vuole dire “stiamo male ma c’è chi sta peggio” e sa che dicendo Napoli – sottolinea Zaccone – è più semplice».

«Lo sputtanapoli sembra nasce con quella che fu una falsa unità d’Italia, assumendo colori e ambiti di applicazione diversi a seconda del periodo storico. Nella sostanza, però, è rimasto invariato: «Concludo il libro con una frase di un politico napoletano, Alberto Marghieri, che 150 anni fa si chiedeva come mai la narrazione di Napoli fosse così esasperata. E per certi versi fatta da chi la città non l’aveva né visitata, né ascoltata davvero. Le sue domande sono le stesse di oggi: lui affermava che esistevano due diverse narrazioni. Una paradisiaca, enfatica, l’altra demoniaca. Pensare che i due racconti si sovrapponessero per la stessa città appariva paradossale. La realtà – sottolinea Zazzone- è che si dava spesso la colpa ai napoletani di non splendere come le bellezze della sua città. Poi c’è un discorso legato al temere le potenzialità di un’area che era stata capitale di un regno e che per vari motivi si è dovuta isolare. Nel corso della storia noi dobbiamo vedere altri passaggi fondamentali che riguardano sempre la diatriba Nord-Sud dove Napoli ha rappresentato l’esempio negativo per tutto ma funzionale a demonizzare il sud intero».

Imparare a riconoscere temi e vocabolario di cui si avvalgono gli sputtanatori non è un esercizio semplice. Ed è sempre molto diffusa la drammatica situazione del napoletano che da vittima tende a sentirsi carnefice demonizzando se stesso e il suo popolo, diventando l’attore principale del fenomeno sputtanapoli.

«Fa male leggerlo nelle persone che non agiscono neanche in malafede ma sono stati inculcati come un virus inoculato in loro che le cose qua vanno sempre peggio rispetto alle altre parti. Questo comporta di doverci difendere sempre, ovunque andiamo e dover dimostrare di essere persone perbene. Noi napoletani siamo la spalla migliore. Partiamo da un principio E’ la percezione di un problema. Ci hanno convinto che a Napoli abbiamo il problema dell’immigrazione, pensa cosa significa diffondere una cultura della percezione di un pericolo. I pericoli ci sono? Sì. Conviviamo con piaghe di inciviltà, con problemi cronici per i quali le amministrazioni nulla hanno fatto. Viviamo in uno stato di sconforto. Rispetto ad altre metropoli, se anche i fenomeni criminosi potrebbero essere equiparabili, c’è una grande differenza nel controllo e rispetto delle regole. Siamo messi peggio in questo. Non abbiamo la speranza che il vigile metta la multa alla macchina in doppia fila. L’albero in Galleria è un appuntamento imperdibile per la stampa di tutta Italia, quando poi ogni anno rubano gli alberi da tutte le parti. Ma leggeremo solo dell’albero in Galleria, ma se lo sottolinei vuol dire che stai minimizzando la faccenda. C’è un altro dettaglio: chi è vittima di un male è vittima. Noi invece siamo stranamente complici nel lessico quotidiano. Cioè noi facciamo schifo secondo il racconto degli altri. In un’altra città chi delinque fa schifo, gli altri subiscono e invocano controlli. La narrazione che viene fatta qui e siamo complici, spinge all’isolamento.  Questa demonizzazione non porta a nulla, porta solo ad alimentare un sentimento di intolleranza. A far andare via la gente da napoli, a non far venire i turisti, la fa solo peggiorare. Non bisogna parlare di Napoli come pizza e mandolino, bisogna dare una opportunità alla comunità di poter risolvere i problemi.

La Napoli di Zaccone è quella a metà tra il paradiso terrestre e l’inferno dantesco. Una metropoli ricca di bellezza, tesori e fascino ma accerchiata e strozzata dalle evidenti problematiche di cui il popolo ne è vittima e non carnefice come, invece, si vorrebbe rappresentare: «In ogni articolo c’è una risposta di numeri e fatti. Ci dà degli strumenti, dobbiamo rispondere con l’informazione. Ci sono delle cose vere e non vere. Bisogna pretendere l’equità narrativa.  Pretendere risorse e difendere quello che c’è. Il libro ci parla anche degli attori che parlano male di Napoli. Ci fa capire come viene narratala città in maniera pretestuosa. Se leggi Napoli nelle librerie, o ci trovi quella paradisiaca o quella demoniaca. Qui ci troviamo come ci raccontano gli altri ogni giorno e come forse dovremmo rispondergli. Un punto di vista alternativo utile a tutti».


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