Il Padiglione Rodi della Mostra d’Oltremare: una suggestiva oasi ellenica abbandonata


Un frammento di Dodecaneso nel cuore di Fuorigrotta. Così doveva apparire il Padiglione Rodi della Mostra d’Oltremare nel 1940, anno di inaugurazione del polo fieristico flegreo. Un incantevole complesso in stile tardo gotico, fregiato da arabeschi e impreziosito da due eleganti cortili in grado di evocare l’atmosfera mediterranea delle isole elleniche.

Ribadiamo l’imperfetto: doveva, perché l’edificio progettato per ospitare la Mostra delle Isole Italiane dell’Egeo si riduce oggi a un lauto banchetto per sterpaglie e degrado, accuratamente garantito da un ”Grande Progetto di Recupero” prima proclamato in pompa magna e poi abbandonato, nel disinteresse generale.

Il risultato? L’ennesima risorsa non valorizzata di una Mostra d’Oltremare che, nonostante i facili proclami politici, sembra essere condannata a un lento e inesorabile disfacimento dei suoi edifici più distintivi. Come ciò possa verificarsi senza che nessuno gridi allo scandalo appare incomprensibile, ma non è da escludere che dipenda dall’assoluta ignoranza circa la straordinarietà delle strutture in questione.

Proprio per sopperire a tale lacuna, riteniamo doveroso offrire ai più distratti una breve storia del Padiglione Rodi, come già fatto per gli abbandoni dei vicini padiglioni Libia e Albania. Parlare di tali edifici è oramai un’urgenza non più procrastinabile, per aprire gli occhi sull’effettivo stato di salute della Mostra e – soprattutto – per offrire un’ulteriore testimonianza dell’inesorabile distanza che separa la Napoli vissuta ogni giorno dalla narrazione che di essa dà, con eccessiva e sospetta insistenza, gran parte della nostra amministrazione.

Una rappresentazione che a suon di meri autocompiacimenti a descrizione di una presunta “città liberata”, resa possibile mediante “riaperture di luoghi strategici” nell’interesse del “bene comune”, non fa altro che alimentare un mero espediente retorico – che non spicca nemmeno per originalità – mediante il quale celare tutto ciò che di Napoli resta drammaticamente abbandonato e degradato.

I cavalieri di Rodi

Inserito nella sezione geografica della Triennale d’Oltremare a celebrazione dell’occupazione italiana dell’arcipelago Dodecaneso, il Padiglione delle Isole Italiane dell’Egeo fu progettato nel 1938 dell’architetto romano Giovanni Battista Ceas, docente di Arredamento all’Università di Napoli. Razionalista e modernista, il suo nome è legato a due edifici realizzati tra il 1934 e il 1935 per il centro colonico sardo di Mussolinia (oggi comune di Arborea): la Casa del Fascio e la Casa del Balilla.

Ceas operò anche in Grecia, grazie al conseguimento di una borsa di studio dell’Istituto Storico Archeologico FERT di Rodi nel 1934. Nell’arcipelago Dodecaneso si occupò della sistemazione dell’area archeologica di Chora nella città di Kos e fu proprio grazie a tale esperienza che fu scelto per la realizzazione del Padiglione Egeo della Triennale d’Oltremare.

Nel disegno dell’edificio, Ceas si ispirò agli alberghi assistenziali medievali realizzati a Rodi dai Cavalieri Ospitalieri, un ordine cavalleresco cristiano nato a Gerusalemme nel XI secolo. Conosciuti anche come “Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme”, offrivano assistenza e protezione ai pellegrini cristiani della Città Santa, fino poi ad imporsi come un vero e proprio ordine militare a difesa di Gerusalemme dalle incursioni islamiche.

Alla fine XIII secolo, con la caduta degli stati crociati e le definitive capitolazioni di Tripoli ed Acri, molti cristiani abbandonarono la Città Santa per trovare rifugio nelle vicine isole del mare Egeo. A tale diaspora parteciparono anche gli Ospitalieri che raggiunsero Rodi nel 1309, dove fondarono lo Stato Monastico dei Cavalieri di Rodi.

Sotto la loro egemonia, l’isola raggiunse il suo massimo splendore architettonico e urbanistico grazie all’ampliamento delle fortificazioni (munite di nuove porte monumentali, torri e bastioni) e alla costruzione di numerosi edifici in stile tardo gotico. Testimonianza fondamentale in tal senso è l’Ippotòn, la celebre via dei Cavalieri di Rodi che dal Palazzo dei Gran Maestri raggiunge l’ospedale di San Giovanni, oggi sede del Museo Archeologico cittadino.

L’Ippotòn di Rodi, la via dei Cavalieri.

Camminando lungo l’Ippotòn è possibile ammirare gli Alberghi delle Lingue, gli edifici che ispirarono Ceas nella progettazione del padiglione della Mostra d’Oltremare. Al loro interno si offriva alloggio ai pellegrini ed erano così chiamati in ossequio dell’ordine interno dei Cavalieri di Rodi, suddiviso in base alle lingue per via delle varie provenienze geografiche dei militari aderenti all’ordine.

L’Ippòton di Rodi. L’Albergo di Francia (a sinistra) e l’Ospedale di San Giovanni (a destra).

Caratteristiche del Padiglione

A differenza di molti edifici della sezione geografica della Triennale d’Oltremare, il Padiglione delle Isole Italiane dell’Egeo era destinato a permanere alle varie esposizioni che il regime, con cadenza triennale, avrebbe allestito nel polo fieristico. Per tale ragione, l’edificio venne realizzato in muratura ordinaria e ornato con un pregevole rivestimento in pietra carparo di Taranto.

Il Padiglione delle Isole Italiane dell’Egeo nel 1940. Foto: Emporium Vol. XCII, n. 548, agosto 1940.

Nel piazzale antistante la struttura è ancora oggi ammirabile una colonna di forma rettangolare che sorregge la statua di un cerbiatto, il simbolo di Rodi. L’opera, realizzata in bronzo dallo scultore Ettore Sannino, è un’imitazione delle numerose statue del cerbiatto presenti sull’isola.

La statua del cerbiatto di Ettore Sannino del Padiglione Rodi (a sinistra) e una statua del cerbiatto a Rodi (a destra).

La facciata del padiglione è caratterizzata da un porticato con nove archi, impreziosito dagli intagli tipici degli alberghi assistenziali di Rodi. Due scale in travertino di Trani conducono al Salone d’onore, un ambiente in pianta rettangolare le cui pareti sono rivestite da un’ampia decorazione murale di Beppe Assenza.

Il vero cuore pulsante del Padiglione è rappresentato dal cortile centrale, anch’esso porticato. Nel 1940 si presentava come un’autentica oasi floreale grazie ai numerosi cespugli di rose disposti lungo il suo perimetro quadrato. Anche questa componente ornamentale era caratteristica degli Alberghi dei Cavalieri di Rodi.

La pianta del Padiglione delle Isole Italiane dell’Egeo. Foto contenuta in Siola U., La Mostra d’Oltremare e Fuorigrotta, Napoli 1990.

Dal cortile centrale si raggiungeva un secondo patio, all’interno del quale Ceas allestì un ambiente noto come la Casa di Lindo: la ricostruzione di una tipica abitazione di Lindos, località greca a 50 chilometri da Rodi. Le case di Lindos sono caratterizzate da ornamenti in ceramiche İznik, tipiche manifatture ottomane contraddistinte da colori vivaci e decorate con fantasie floreali e animali.

Nella prima metà del novecento la richiesta di tali ceramiche fu talmente alta da costringere gli italiani, durante l’occupazione del Dodecaneso, a fondare l’Industria di Ceramiche Artistiche Rodio Orientali di Rodi per incentivarne la produzione. Alla luce di ciò, la Casa di Lindo presentava una suggestiva ambientazione ottomana, testimoniata da un’elegante facciata intagliata da fini arabeschi e da un cortile decorato con una ceramica İznik sulla quale erano effigiati due pavoni.

Casa di Lindos. Da questa foto è possibile osservare l’ornamento in ceramica İznik (a sinistra) e la facciata con gli arabeschi (a destra). Foto contenuta in Siola U., La Mostra d’Oltremare e Fuorigrotta, Napoli 1990.

Notevole fu anche il materiale archeologico del padiglione allestito da Amedeo Maiuri, direttore della Soprintendenza alle Antichità della Campania. Attivissimo in Grecia, dal 1914 al 1924 fu il direttore della Missione Archeologica Italiana nell’Egeo. Nel Salone d’Onore Maiuri sistemò la statua della Venere di Rodi e vari reperti provenienti da Camiros e da Ialisos, mentre in una seconda sala del padiglione allestì un vero e proprio museo con riproduzioni di statue rinvenute a Rodi e Kos.

Nuove destinazioni: mensa di un ospedale e sede della Facoltà di Fisica

Dopo appena un mese dalla sua inaugurazione, la Mostra chiuse per via dello scoppio della guerra. Dal ’43 al ’47 furono i corpi medici degli americani a riaprire il polo fieristico, convertendo molti dei suoi padiglioni negli spazi del 21st General Hospital. In tale ottica, il padiglione Rodi ospitò la mensa dell’ospedale.

Mensa del 21st General Hospital. Foto: 36th Div Texas Reenactment Napoli

Nel 1952 il polo fieristico riaprì con la Mostra Triennale del Lavoro Italiano nel Mondo. Alla luce della sua nuova destinazione, il Padiglione Rodi fu convertito nella Mostra degli Enti culturali e assistenziali, ma l’esposizione non ottenne il successo sperato e chiuse pochi anni dopo.

Il padiglione restò abbandonato fino alla fine degli anni ’50. Nel 1957 Eduardo Caianiello, docente di Fisica Teorica, trasferì le attività della facoltà di fisica dell’Università di Napoli nella Mostra d’Oltremare presso l’ex Padiglione dell’Espansione Italiana in Oriente. A questo si aggiunse, pochi anni dopo, anche il vicino Padiglione Rodi. Nella sua nuova veste accademica, l’ex Salone d’Onore ospitò l’aula magna della facoltà, mentre nella Casa di Lindo vennero allestiti i laboratori di ricerca, in uno dei quali fu collocato l’acceleratore di particelle HVEC TTT3 Tandem.

Degrado e abbandono

Agli inizi del nuovo millennio il dipartimento di fisica si trasferì definitivamente a Monte Sant’Angelo, condannando l’edificio ad un secondo abbandono. Da allora il Padiglione Rodi della Mostra d’Oltremare è chiuso al pubblico e versa in uno stato di desolante degrado. Un recinto in ferro vieta l’ingresso nella struttura, ma non ne impedisce la visuale sullo scempio che l’assale.

Le colonne dell’atrio di ingresso sono occupate da tags e scritte varie, mentre la vegetazione, a poco a poco, si sta impossessando di quanto resta del cortile centrale e della Casa di Lindo. Tale processo è ben documentato dalla foto sottostante e dalle immagini satellitari di Google Maps.

Lo stato attuale della Casa di Lindos. Foto: Marco Ciotola.

 

Le condizioni attuali dell’ornamento in ceramica İznik. Foto: Marco Ciotola.

 

Immagine satellitare del padiglione da Google Maps, in giallo le aree occupate dalla vegetazione.

Nel 2015 è stato presentato il “Grande Progetto della riqualificazione urbana della Mostra e dei suoi Beni Culturali e Architettonici” che prevedeva anche il restauro del Padiglione Rodi. Appena due anni dopo, nel 2017, il progetto è stato accantonato a causa di una «valutazione di impatto ambientale, originariamente non prevista», come si legge nella Delibera della Giunta Regionale n. 338 del 14/06/2017. Da allora, per il recupero del padiglione non è stato più richiesto alcun finanziamento.

Il Padiglione Rodi oggi. Foto: Marco Ciotola.

 

Bibliografia
– Bacichi O., Cepollaro A., Costantini V., Dal Pozzo Gaggiotti A., Zaghi C., La prima mostra triennale delle Terre Italiane d’Oltremare, Emporium Vol. XCII, n. 548, agosto 1940, Bergamo.
– Prisco G., Allestimenti museali, mostre e aura dei materiali tra le due guerre nel pensiero di Amedeo Maiuri, in Il Capitale culturale, Studies on the Value of Cultural Heritage, Vol. 14, Macerata 2016.
– Siola U., La Mostra d’Oltremare e Fuorigrotta, Napoli 1990.
– Stenti S. e Cappiello V. (a cura di), Napoli guida e dintorni. Itinerari di architettura moderna, Napoli 2010.

Sitografia
Un monumento alla ricerca: l’ex Facoltà di Scienze Fisiche, a cura di Derive Suburbane.


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