La strage di Roseto Valfortore: quando i garibaldini uccisero cinque innocenti

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Quel 7 novembre del 1860 sembrava un giorno come tutti gli altri a Roseto Valfortore (in provincia di Foggia). Il sole era tramontato già da parecchio, lasciando spazio alle tenebre ed all’autunno freddo tipico per quel paesino arrampicato sui monti dell’Appennino Dauno.

Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che in quella giornata avrebbe avuto luogo un evento efferatissimo che ha generato una ferita storica molto profonda per il centro urbano ed i suoi abitanti. Le cose non sarebbero state più le stesse per quattro giovani ragazzi ed un padre di famiglia, sommariamente giudicati da un tribunale di garibaldini e messi a morte senza nessuna possibilità d’appello, a causa delle loro simpatie per la causa dei Borbone delle Due Sicilie. Ad accusarli d’essere “reazionari” e dei “franceschielli” (ovvero fedeli a Francesco II di Borbone), fu don Vito Capobianco, fratello del sindaco della comunità.

Il tutto avvenne rapidamente verso le 23. Sebbene non fu possibile confermare le accuse fatte e dimostrare, quindi, la colpevolezza dei cinque malcapitati si procedette comunque all’esecuzione. Vennero allineati al muro e crudelmente passati per le armi da chi si autoproclamava “liberatore” e “padre della patria”. Invane le richieste di pietà dei malcapitati e dei loro concittadini che assistettero, impotenti, al macabro spettacolo.

A testimoniare la vicenda giungono in nostro soccorso sia i certificati di morte dei cinque rosetani, che un manoscritto nel quale venivano riportate sommariamente le loro generalità. Si trattava di: Cotturo Giuseppeantonio, Farace Liberato, Sbrocchi Vito, Marrone Leonardo e Zita Nunziantonio. Il prete che aveva assistito a tutta la scena ed aveva amministrato gli ultimi sacramenti ai malcapitati scagliò un anatema su Vito Capobianco che si era macchiato del sangue di cinque innocenti.

Nel 1861 l’amministrazione comunale di Roseto Valfortore fece apporre cinque croci di legno sul luogo della strage.

Nel 1910 le croci vennero sostituite da una lapide ad imperituro ricordo del triste evento. Le numerose “ombre” che accompagnarono un processo stratificato e complesso come quello dell’Unità d’Italia stanno venendo sempre più a galla, sensibilizzando molte menti. Prendere coscienza del passato senza strumentalizzazioni e rancori è il primo passo per un nuovo riscatto identitario.

Fonte:
– Valerio Rizzo, Associzione Culturale Due Sicilie


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