Domenico Russo, l’agente campano che morì per difendere Dalla Chiesa


Qui è morta la speranza dei palermitani onesti
(Scritta apparsa sul luogo della strage)

La strage di via Carini a Palermo è impressa nella memoria di tutti ed è ricordata per la morte del generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro.

Ma pochi sanno che ci fu un altro innocente ucciso barbaramente dai sicari della mafia: l’agente di scorta Domenico Russo, nativo di Santa Maria Capua Vetere, nel Casertano.

Il generale e prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa il 3 settembre 1982 stava uscendo dalla prefettura a bordo di una Autobianchi A112 beige, guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro, per andare a cena. La vettura era seguita da un’Alfetta condotta dall’agente di scorta Domenico Russo. In via Isidoro Carini, una motocicletta, affiancò l’Alfetta di Russo che venne colpito con un fucile AK-47.

Contemporaneamente una BMW 518, raggiunse l’auto dei due coniugi e i killer aprirono violentemente il fuoco contro il parabrezza. Dalla Chiesa e la moglie rimasero uccisi da trenta pallottole, mentre l’agente di scorta morì dodici giorni dopo, il 15 settembre all’ospedale di Palermo.

La strage di via Carini fece scalpore anche per il modo con cui venne eseguita, infatti le tre vittime vennero colpite con un Kalashnikov AK 47, arma da guerra. Per l’omicidio di Domenico Russo, di Dalla Chiesa e di sua moglie, sono stati condannati all’ergastolo Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci.

Domenico Russo nacque a Santa Maria Capua Vetere il 27 dicembre 1950 e all’epoca era Guardia Scelta della Polizia di Stato, in servizio presso la Prefettura di Palermo e fu assegnato alla scorta del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Si sposò con una ragazza siciliana, Fina, dalla quale ebbe due figli Dino e Toni.

All’agente Domenico Russo i comuni di Palermo, Santa Maria Capua Vetere (dove visse da ragazzo) e San Tammaro (dove risiedevano alcuni parenti stretti) hanno dedicato una strada in suo onore. Gli fu assegnata una medaglia d’oro al valor civile alla memoria:

Di scorta automontata per il servizio di sicurezza ad eminente personalità, assolveva al proprio compito con sprezzo del pericolo e profonda abnegazione. Proditoriamente fatto segno a numerosi colpi d’arma da fuoco esplosi a distanza ravvicinata da parte di alcuni appartenenti a cosche mafiose, tentava di reagire al fuoco degli aggressori nell’estremo eroico tentativo di fronteggiare i criminali, immolando così la vita nell’adempimento del dovere. Palermo, 3 settembre 1982..“.

I funerali si svolsero in forma privata il 16 settembre 1982 nella chiesa di Santo Spirito nel cimitero di Sant’Orsola a Palermo. Con la famiglia c’era anche il sindaco di Santa Maria Capua Vetere e una delegazione di amministratori comunali, oltre colleghi e anche poliziotti. La moglie chiese di seppellirlo in Sicilia.

L’ho conosciuto Domenico Russo – racconta Gennaro Nuvoletta, carabiniere e fratello di un altro, Salvatore Nuvoletta, ucciso dalla camorra a Marano il 2 luglio del 1982 – Io facevo già da autista e da scorta al generale Dalla Chiesa da quattro anni. Quando venne nominato prefetto di Palermo il 30 aprile, mi portò con sé. Domenico Russo, bravissimo ragazzo, lavorava alla Prefettura di Palermo. Facemmo subito amicizia, perché lui era campano come me. Il prefetto lo scelse come autista e come agente di scorta. Il generale mi chiese di istruirlo per una ventina di giorni perché conoscevo già le sue abitudini e i suoi metodi di lavoro. Avevamo in dotazione una Croma blindata col telefono a bordo che portai a Palermo i primi di maggio di quell’anno. Il ragazzo di Santa Maria Capua Vetere si dimostrò subito all’altezza. Poi tornai a Marano perché il 4 luglio dovevo sposarmi. Il prefetto si doveva sposare il 12 luglio e mi propose di andare a vivere a Palermo. Mi avrebbe fatto alloggiare in un appartamento a Villa Pajno dove alloggiava insieme alla moglie. Il generale Dalla Chiesa, intanto, mi teneva informato delle sue attività. Continuava a girare per le scuole. ‘È dai ragazzi che bisogna cominciare se vogliamo cambiare qualcosa, caro Gennaro’, mi ripeteva continuamente. ‘Io lo faccio, ma gli altri?’“.

Fonti:

– Raffaele Sardo, Al di là della notte. Storie di vittime innocenti della criminalità, Napoli, Fondazione Pol.i.s, Tullio Pironti Editore 2010.

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