Cardelli, Mannone e gli altri: le storie dei giovani italiani dimenticati dal nostro calcio


“Uno su mille ce la fa” canta Morandi, ma tutti gli altri che fine fanno? Storie di speranza, storie di sogni prima rincorsi, poi lasciati andare. Storie di vita, ma anche storie di calcio. Nasci, rincorri un pallone, immagini uno stadio in piedi solo per te. E’ il percorso spontaneo del 90% dei ragazzini, ma in quanti davvero camminano sulla strada del loro sogno? Pochissimi, soprattutto in Italia. Sì, perché il nostro Paese, da anni ormai, non crede più nei suoi giovani. Investe poco e male, e nessuna big ‘osa’ nel buttare nella mischia chi ha la carta d’identità più recente. Basti pensare che nella top 20 dei migliori giovani calciatori del mondo, c’è solo un italiano: Gianluigi Donnarumma. La Germania ne ha 5, la Francia 3, l’Inghilterra 2. La Spagna 0, al momento, ma vogliamo parlare di quanti talenti ha sfornato negli ultimi anni la cantera blaugrana?

Da qualunque prospettiva si guardi, nel nostro Paese c’è mancanza di coraggio. All’estero nessuno si fa problemi a puntare sui più giovani, qui andiamo avanti con l’usato sicuro, che però, guarda caso, non fa quasi mai rima con ‘vittorie’, visto che in Europa, soprattutto a livello di club, perdiamo il confronto (quasi) con tutte.

Parlavamo di storie, appunto. Ce ne sarebbero tante da raccontare, ma negli ultimi giorni è diventata virale quella di Filippo Cardelli, classe 1998, approdato alla Lazio due anni fa. Fino agli Allievi Regionali Fascia B giocava nel Futbolclub, ed è stato allenato anche da un ex laziale, Roberto Baronio, poi il salto nelle giovanili biancocelesti. Lo scorso novembre si era infortunato al ginocchio: stagione chiusa, la prima con la Primavera della Lazio. Ha atteso un anno, quasi, per ritornare in forma, ma ora ha detto basta, lascia il nostro calcio perché qui, in Italia, sente che per lui, italiano, non c’è più spazio: “Sono stato trattato di m… dopo 10 anni di sacrifici, vado negli States per una nuova esperienza. Qui ci sono troppi stranieri ed è tutto finito. Questo non è più lo sport di cui mi sono innamorato da bambino. Quando Lombardi è entrato e ha segnato con l’Atalanta mi sono emozionato, un ragazzo italiano che corre e suda per la maglia, questo è quello che dovremmo vedere sempre, ma probabilmente adesso non giocherà più, per far spazio ai tanti stranieri. Non vedo che senso abbia giocare nella Lazio Primavera ed essere circondato da stranieri. La Serie A è piena di stranieri, il calcio degli italiani è morto. Negli Usa il calcio è anni luce indietro, ma almeno ha un briciolo di dignità, quella che noi abbiamo perso. Per tutti quelli che sono arrivati fino a qua e che amano il calcio, un consiglio da chi l’ha vissuto da dentro: non andate allo stadio, non comprate gli abbonamenti tv, perché è tutto finto…”. 

Il suo lungo sfogo su Facebook ha emozionato e fatto discutere, riaprendo un dibattito vecchio ma purtroppo mai superato. E la sua non è l’unica storia di giovani promettenti che nascono sui nostri campetti ma sono costretti ad emigrare per avere una possibilità. Senza andare troppo lontano nel passato, basti pensare a Giulio Donati che, dopo aver esordito a 19 anni con la maglia dell’Inter, fu girato in prestito per poi lasciare la Primavera nerazzurra e trasferirsi in Germania. Così come Vito Mannone, cresciuto nelle giovanili dell’Atalanta e messo sotto contratto dall’Arsenal all’età di 17 anni, che oggi è ancora in Premier, a difendere i pali del Sunderland. Poi c’è Chicco Macheda, che a 16 anni fu rubato dal Manchester alla Lazio, e che (a parte un breve periodo alla Samp) non è più tornato in Italia. Poi, c’è forse il caso più emblematico degli ultimi anni, quello di Verratti. Il PSG lo acquistò per 12 milioni di euro, è vero, ma perché nessun club italiano ha provato a scommettere su un giovane che aveva incantato la Serie B?  Oggi è il rimpianto di molti.

Nella Ligue 1 il 24.6% dei calciatori è cresciuto nei settori giovanili delle squadre del massimo campionato, nella Liga spagnola siamo di poco sotto (22.4%), nella serie A, invece, siamo fermi al 9.6%. Eppure, in un periodo in cui i soldi sono pochi e gli investimenti troppo rischiosi, puntare sui giovani sarebbe la soluzione più giusta.

E’ vero, in giro forse non ci saranno più i Maldini, i Baggio, i Totti o i Del Piero, ma qualcosa di buono c’è. Bisognerebbe valorizzarli, dargli il diritto di tentare e anche di sbagliare, farli crescere e solo dopo avergli dato una possibilità, eventualmente, accantonarli.

Forse continuerebbe a farcela solo uno su mille, ma almeno potremmo dire di averci provato.


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