ADL dimentica le sue convinzioni sullo stadio virtuale e sul “cesso” del San Paolo


Doveva essere il giorno dell’annuncio di un accordo rinnovato per il prossimo triennio con Dimaro, sede fino al 2021 del ritiro estivo del Napoli. Ma quando sullo scranno è seduto Aurelio De Laurentiis si finisce col parlare di altro e le micce innescate scatenano il solito fuoco che si alza impetuoso, facendosi spazio tra i malumori di una parte della tifoseria, sia di quella virtuale tanto cara al presidente che tra i fedelissimi dei sediolini rotti e sporchi dello stadio San Paolo.

Ed è la scarsa presenza dei tifosi all’impianto di Fuorigrotta, specie nell’ultima partita, a tenere banco tra le parole della dialettica muscolare di De Laurentiis: «Così si è tifosi del Napoli? Bah. Vorreste fare le nozze d’oro con i fichi secchi? Mi dispiace che i tifosi pensino solo allo Scudetto, non ad essere forti e rappresentare la città. Con la Sampdoria dovevano stare tutti allo stadio, i prezzi erano bassissimi, doveva essere pieno anche per la vendetta dopo la sconfitta dell’andata».

Il messaggio è chiaro ed inequivocabile. Condivisibile se solo il presidente del Napoli in passato non si fosse espresso in maniera diversa, spingendo o quasi i tifosi ad abbandonare il San Paolo per acquistare un abbonamento alla pay-tv in ragione di quello stadio virtuale che da sempre è il pallino del patron.

In un caldo agosto 2015  i tifosi con un murales rispondono alle parole di ADL che prometteva un impianto da 41 mila posti: «Sarà uno stadio da 41 mila posti, identico come numero allo Juventus Stadium, l’ultimo buono stadio fatto in Italia, sono convinto che nei prossimi 5 anni il numero di posti si ridurrà tantissimo, conoscendo l’evoluzione tecnologica: lo stadio virtuale avrà sempre più spazio rispetto allo stadio reale, questo sta avvenendo già nel cinema. Penso che 41 mila sia addirittura un numero eccessivo».

Un numero così eccessivo che nel novembre del 2016 annuncia la sua mitica idea di realizzare una “bomboniera” da 20.000 posti per soli soci. Una provocazione? Forse sì, forse no, perché più volte rilancia l’idea in altre sedi. Un disegno a dir poco classista che cancellerebbe in un sol colpo quel carattere nazional-popolare che dalle origini ha contraddistinto il gioco del calcio in Italia.

A tali dichiarazioni se ne aggiungono delle altre nel corso del turbolento rapporto con il Comune di Napoli sulla gestione dell’impianto. Impossibile dimenticare la sua definizione del San Paolo:”Un cesso“, così lo ribattezza Aurelio De Laurentiis. Oppure sempre in tema di stadio virtuale dice esplicitamente che le partite si vedono meglio in tv: «Le partite le guardo in tv, so che vado contro i miei interessi, ma quando presi il Napoli e non capivo un tubo di calcio parlai di stadio virtuale. Le partite le vedo meglio in televisione. Sono andato al San Paolo per 12 anni, ma da quella tribuna non si vede niente».

Al netto di queste dichiarazioni è palese un malcontento generale di una tifoseria che oltre all’ossessione per la Juventus da 7 anni capolista incontrastata, negli anni ha raccolto i cocci di una programmazione aziendale che piace molto a commercialisti e consulenti aziendali, un po’ meno a chi ha sfiorato con Sarri un sogno chiamato Scudetto.

Ed è proprio da quel gol di Koulibaly e alla successiva sconfitta di Firenze che vanno rintracciati gli ulteriori motivi dello svuotamento del San Paolo. La fine di un sogno nel segno dell’addio di Sarri, l’uomo capace di riempire gli spalti con  bellezza e  risultati. De Laurentiis non può pensare che i tifosi del Napoli siano tanto diversi dagli altri. Sono tifosi e come tali, come è nella umana natura, si vuole di più sempre di più. E quell’ossessione, che dalle prime battute di questa stagione è diventata tormento hanno fatto il resto.


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