Quando Maradona rischiò di rompersi le gambe per aiutare un bambino malato


Era il mese di gennaio del 1985 quando un papà di Acerra chiamò, disperato, il concittadino Pietro Puzone, attaccante che allora giocava nel Napoli. La sua richiesta all’apparenza molto semplice in realtà era di difficilissima attuazione: organizzare una partita di beneficenza alla quale avrebbe partecipato anche Diego Armando Maradona.

Corrado Ferlaino non ne volle sapere. Il presidente non voleva che Maradona rischiasse un infortunio quando la squadra versava in cattive acque, navigando in zona retrocessione. Diego però fu contattato direttamente, pagò di propria tasca la clausola di 12 milioni alla sua assicurazione e andò a giocare in un proverbiale campo di patate, in mezzo al fango del campo sportivo di Acerra. “Che si fottessero i Lloyd di Londra. Questa partita si deve giocare per quel bambino”: queste furono le parole di Maradona.

Oggi in rete si trovano i video di quel giorno. Si vede Maradona che fa il riscaldamento tra le auto parcheggiate, insieme ai compagni di squadra. Poi la partita vera e propria, onorata da quella squadra che sarebbe diventata campione d’Italia due stagioni più tardi, trascinata da quell’uomo che nel fango di un campetto di provincia metteva a rischio tutta la propria carriera.

Sarebbe bastato un nulla a cambiare la storia: un piede poggiato male, un’entrata più audace del dovuto e Diego non avrebbe fatto quello che poi, invece, ha compiuto: il Mondiale del 1986, la mano de Dios e il gol del secolo, gli scudetti, la Coppa Uefa e l’immenso privilegio di ammirare le sue giocate impossibili per chiunque altro nato su questo pianeta.

Un sacrificio che Maradona fu disposto a compiere senza pensarci neanche mezza volta, è questa d’altra parte la sua natura. Chi spesso lo critica dal punto di vista umano, dimentica o forse non conosce questo episodio. Quanti altri calciatori avrebbero fatto lo stesso? Lo vedete voi un Cristiano Ronaldo, uno che cambia pettinatura tra il primo e il secondo tempo, fare le capriole nel fango davanti ad amici e parenti di una squadra che nel campionato dei dilettanti? E poi, scusate, chi siamo noi per giudicare un nostro simile? Quanti di noi possono dirsi esenti da peccati e contraddizioni?


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