‘O broro ‘e purpo e la notte della Befana: quando si vaga per le strade


Napoli e il suo cibo da strada. È una storia lunga, ricca, radicata nelle tradizioni che non muoiono, che vivono nei vicoli dei vecchi santi, resistendo ai nuovi tempi e alla loro velocità.

‘O broro ‘e purpo rappresenta uno dei piatti da strada più antichi di Napoli. Probabilmente originario della cultura greca, nelle strade partenopee risale circa al XIV secolo, con la sua immortale ricetta, per anni adoperata per strada e nelle case, fino ad oggi. Tra i luoghi principali, in cui, attualmente, si può ancora gustare è Porta Capuana, storica culla della cucina di pesce, dal taglio ancora autenticamente popolare.

Tuttavia, una delle notti in cui è mantenuta l’usanza di berlo in strada è quella del 5 gennaio, in cui si vaga per alcune zone della città, mentre i bimbi a casa, sotto le coperte, aspettano i doni e le leccornie della Befana.

Caldo e col sapore del mare, accompagna la camminata per le strade che circondano Piazza Mercato, lasciando in bocca il gusto semplice della Napoli che fu e di quella che è, tuttora ancorata nella semplicità dei propri odori.

In antichità, inoltre, il brodo di polpo, assieme a quello fatto con la cotica, sostituiva il brodo di carne, pietanza destinata a pochi. Si trattava di piatti più umili ma allo stesso tempo sostanziosi e saporiti.

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Prepararlo è molto semplice, poichè basta calare in acqua bollente un polpo o una sua parte e farlo cuocere per circa 40 – 50 minuti, in base a quanto diventi “calloso”. Dopo di che, l’acqua in cui è stato immerso bisogna condirla con pepe e con alcuni dei tentacoli che avrete tagliato dal polpo stesso. I tentacoli rappresentano la “ranfetella” che, di tanto in tanto, fuoriesce dal brodo che state bevendo.

“E’ tè marino, sa di scoglio, di alga, di fosforo, di barba di tritoni, di ascelle (o peggio) di sirene, di meravigliosa o sconcia mitologia greca” scriveva il napoletano Giuseppe Marotta. 

E pare che lo stesso Boccaccio fu rapito da questo piatto di strada, raccontando nel 1339, in una lettera all’amico Francesco Bardi come, per la nascita di un bambino, i parenti comprarono un polpo e lo inviarono alla “puerpera”, la quale si occupò di cuocerlo e preparare il brodo.

In effetti, all’epoca erano soprattutto le donne che si occupavano della preparazione del brodo di polpo, come scrive anche Matilde Serao nel “Ventre di Napoli”: Con due soldi si compera un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un focolaretto e una piccola pignatta”. 

Il brodo napoletano, che racchiude storia e profumi randagi di una città bella e tormentata, si beve bollente. Ed è per questo che quando lo prenderete in strada, proprio nella notte dell’epifania, gli ambulanti ve lo serviranno in due bicchieri monouso sovrapposti, anche se… la ranfetella, forse, sarà sempre una sola.

Come molti piatti che riguardano la cultura di strada, ‘o broro ‘e purpo non va molto d’accordo con le direttive di Bruxells per quanto riguarda le norme igieniche e di preparazione…ma del resto, è molto diverso dai pericoli che comportano le componenti chimiche dei prodotti, industrialmente, preparati e confezionati? Un po’ di sana tradizione non ha mai ucciso nessuno, tranne la noia globale.


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