Muti parla dell’esibizione al museo: “Vi racconto perché ho suonato al piano”


Negli ultimi giorni sono girate le immagini di un inedito Riccardo Muti che si è esibito al pianoforte del Museo di Capodimonte, deliziando i presenti con un Valzer di Chopin. Da visitatore a concertista, in quella giornata nulla era programmato e, probabilmente, musa ispiratrice di eventi straordinari è stata quella stessa arte che completa la città di Napoli e, in particolare, il Museo di Capodimonte.

Il Corriere della Sera ha incontrato il maestro partenopeo dopo la sua esibizione, chiedendogli da dove fosse nata l’inconsueta performance. Ma diversi episodi, quella domenica della visita al Museo, hanno colpito Muti, come lui stesso racconta.

In Primis l’incontro tra un bambino, il pianoforte e un custode ligio al dovere: “Nel salone delle danze, dove giacciono un paio di pianoforti, un bambino ha toccato la tastiera di uno degli strumenti, creando suoni, che hanno attirato la preoccupata attenzione di un custode. Costui, accorso velocemente, ha impedito l’ulteriore uso dello strumento, sottolineando che non era permesso neppure toccarlo. Trovandomi anch’io vicino al bambino, sono stato avvertito dal suddetto custode di non osare mettere le mani sulla tastiera. Il direttore Bellenger, presente all’avvenimento, ha lodato giustamente il comportamento del custode, che, ligio al dovere, non aveva fatto eccezione alcuna, neanche per un musicista di casa abbastanza conosciuto”.

Poi le cose presero una piega diversa:Poi le cose hanno preso una via più “napoletana” e simpaticamente conciliante ed io, a richiesta del pubblico, che nel frattempo si era fatto intorno, dopo aver chiesto al custode il permesso di potermi – esibire –, ho suonato parte di un valzer di Chopin, ricevendo il plauso degli astanti e dello stesso censore. Sono rimasto molto colpito dal senso del dovere di questo personaggio, testimonianza di una napoletanità severa, ligia al rispetto delle regole che devono essere uguali per tutti; una napoletanità che contraddice certi luoghi comuni, ingiusti e superficiali, che non sanno cogliere, al di là del folklore, la vera sostanza morale di un popolo così complesso”.

Un altro episodio che il direttore d’orchestra nostrano racconta ai lettori è un esempio di bellezza:

“Dopo aver percorso moltissime sale, ammirando Raffaello, Masaccio, Caravaggio, Bruegel, Giovanni Bellini, Lorenzo Lotto, Luca Giordano, Mantegna e tanti altri, un bambino, con gli occhi pieni di tanta Bellezza e un po’ stordito da tanta sublime Arte si è avvicinato a Bellenger e ha chiesto con innocente semplicità: – Scusi, mi dice qual è la cosa più importante in questo museo? -. Il direttore ha risposto: – La tua presenza, quindi, tu! -. Una risposta meravigliosa, perché vera. Il bambino, che si ciba di Bellezza, di quella Bellezza, che la Natura ha donato all’Italia e agli Artisti che hanno reso il nostro Paese ancora più grande e unico al mondo. Il bambino, quindi, simbolo di una società migliore”.


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