Razzismo a Napoli: ecco perché non è un paradosso per gli stranieri


Shame #Napoli shame! Racism has no place in football. Mario #Balotelli in tears at racist taunts at San Paolo stadium ”, che tradotto significa “Vergogna Napoli, vergogna. Non c’è posto per il razzismo nel calcio. Mario Balotelli in lacrime per gli insulti razzisti allo Stadio San Paolo”. Da questo tweet di Mona Eltahawy, giornalista egiziana che fu torturata durante la Primavera Araba e a suo dire molto affezionata alla città di Napoli, ha avuto inizio il fraintendimento globale che ha coinvolto pure il The Obama Diary, che lo ha ricondiviso appunto sulla piattaforma Twitter e che si occupa di divulgare in maniera quasi ufficiale foto, video e discorsi del Presidente degli Stati Uniti. Anche i Mario Balotelli Lovers turchi si erano scagliati contro i Napoletani, colpevoli a loro dire di aver reso il calciatore bersaglio del loro razzismo, e ciò a causa di un pianto in realtà scaturito da una partita giocata male alla fine di una settimana difficile per il ragazzo, come hanno avuto modo di dire suo fratello e il suo allenatore, Clarence Seedorf, che ha anzi sottolineato come il pubblico partenopeo lo abbia sempre rispettato “nonostante” il colore della sua pelle non sia bianco.

Questo equivoco appare, a mio avviso, insieme paradossale e comprensibile. È paradossale perché a essere sotto accusa sono i Napoletani, essi stessi vittima di discriminazione, ad opera di una parte tutt’altro che trascurabile della popolazione italiana, che si è manifestata anche negli stadi e ha portato alla chiusura delle curve dei sostenitori di Juventus, Milan, Inter e Roma, ma questo tipo di cori e soprattutto quello inneggiante a un’eruzione del Vesuvio si sono sentiti pure, tra le altre città, a Bologna, Firenze, Torino (sponda granata), Brescia, Udine e Bergamo. Ovviamente il solo fatto di essere vittima di razzismo non implica necessariamente l’impossibilità di esserlo a propria volta, ma gli spettatori del San Paolo non si sono mai macchiati di cori o insulti a sfondo discriminatorio, nonostante ve ne siano stati di pesanti e certo non signorili. Per quanto riguarda invece i Napoletani in quanto cittadini, perciò andando oltre l’ambito della tifoseria, è notorio l’atteggiamento di questi verso i forestieri di qualunque provenienza e colore di pelle, che ha le sue radici nella storia di Napoli, abituata da sempre ad accogliere genti da ogni dove e ospitarle, in osservanza del concetto di xenia diffuso nel mondo greco antico e che sopravvive nel carattere non solo dei Partenopei, ma pure della gente di tutto il Mezzogiorno. Con ciò non voglio affermare che al Meridione il razzismo sia totalmente assente, bensì che quello c’è costituisce davvero un’eccezione e in ogni caso non è paragonabile a quanto si può riscontrare altrove, pur salvando gran parte dei connazionali Settentrionali.

Roberto Calderoli

La ragione per cui, invece, l’equivoco mi risulta comprensibile è proprio l’immagine che l’Italia ha nel resto del mondo in quanto alla questione razziale. Oltre ai già citati episodi da stadio nei confronti dei Napoletani si sono più volte verificati episodi condannabili a danno dei giocatori di colore, culminati nella famosa uscita dal campo KP Boateng e il conseguente risalto internazionale della notizia. Se aggiungiamo le azioni commesse dagli esponenti della Lega Nord che hanno avuto eco fuori dai nostri confini (ad esempio gli insulti continui al Ministro di colore Kyenge o la maglietta anti-Islam di Calderoli) e idealmente appoggiate da milioni di elettori, oltre al formarsi di movimenti e partiti di ispirazione sostanzialmente nazifascista, il risultato è pronto e non mi sento di biasimare troppo chi ha frainteso, e al contrario, ciò sta a sottolineare come lo Stato Italiano abbia saputo pubblicizzare una (mala)Unità che si è compiuta solo formalmente e che aveva lo scopo di ridurre il Sud a una colonia interna.


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