CAMORRA. La fornaia ercolanese: “Ecco quanti soldi mi chiesero, li incontrai su un terrazzo”


Un boato fragoroso, centinaia di persone incredule all’entrata del panificio, la corsa disperata. Esplode una bomba nel panificio La casa del Pane di Ercolano. E’ la camorra a lanciare, forse, l’ultimo avvertimento a Sofia, titolare insieme al marito dell’attività aperta nell’aprile del 2008.

La rappresaglia dei Birra avviene 7 mesi dopo, il 9 novembre del 2009. Il clan pretende i quattrini, perché è consuetudine. Il prezzo da corrispondere per poter lavorare in città.

Sofia è tra i 42 commercianti che denunciano i camorristi dei clan Birra-Iacomino e Ascione-Papale. Per la prima volta nella storia i denuncianti sono in maggioranza rispetto ai denunciati, circa 40. L’ultima pagina sfogliata dalla comunità ercolanese si consuma pochi giorni fa, quando altre 13 persone, già agli arresti, vengono condannate per il reato di racket.

Quanto accaduto negli ultimi anni nutre il senso di legalità, il senso civico di un popolo capace di distruggere quel muro di gomma d’omertà di cui si alimentava la criminalità organizzata che proliferava approfittando della paura altrui.

Quella paura vinta da Sofia che racconta quei giorni convulsi con l’orgoglio di aver combattuto e migliorato la proria vita, quella dei discendenti e dell’intera città:

«Aprire un panificio insieme a mio marito è stata la realizzazione di un sogno. Le cose andavano bene, la gente col passare del tempo aumentava. In città si respirava una brutta aria, c’era la lotta trai clan e si parlava del racket. Il primo avvicinamento della camorra avvenne nell’ottobre del 2009. Un giovane mi disse che mi sarei dovuta recare il giorno stesso alla “Cuparella”, nella roccaforte dei Birra. Non sapevo chi fosse, qualcuno mi rivelò la sua identità: era il figlio di Zi’ Cardone, personaggio noto in città. Non ci andai, lui ritornò urlando il giorno successivo. Mi ribadì il concetto e così insieme a mio marito mi recai nel posto indicato».

Per la prima volta Sofia si addentra nel confine dove i Birra la fanno da padrone. Alla Cuparella il clan vive e pianifica gli affari. L’incontro tra i commercianti e i camorristi avviene su un terrazzo: «Erano in 6 e mi chiedono di pagare, perché tutti lo fanno. Mi impongono di versare da subito la cifra di 5.000 euro e poi rate da 500 e ci mandano via. Tornando a casa, l’idea era quella di proseguire nel lavoro, tenendo duro nonostante avessi capito il pericolo che incombeva. Per me farmi chiamare per nome da quelle persone che io non conoscevo, consegnargli il frutto del mio lavoro era inaccettabile».

Passa un giorno, i Birra decidono prima di far esplodere la bomba scagliando l’ultimo avvertimento “bonario”: in due entrano con una pistola nel panificio: «Mi ribadirono che dovevo pagare altrimenti avrebbero ucciso qualcuno la sera stessa. La gente presente iniziò a piangere, avavano paura». Qualche giorno dopo lo scoppio della bomba e il momento della svolta: Sofia denuncia i camorristi seguendo le orme di un’altra commeciante che qualche anno prima aveva trovato il coraggio di affrontare i Birra.

«Andai in caserma e raccontai tutto quello che mi era accaduto, i carabinieri li seguivano già. Li tenevano sotto tiro. Ma quella stessa sera, mia mamma si sentì male. Pensavo l’avvessi persa sempre, entrò in codice rosso e promisi a me stessa che se fosse morta, avrei voluto assistere alla cattura dei camorristi che mi stavano portando via anche la mia famiglia. Mamma si salvò e due giorni dopo tornai in caserma per mettere tutto nero su bianco. Fu una liberazione, stavo bene. Denunciare la camorra ti fa stare bene».

Il lieto fine è vicino, perché nonostante il pericolo di ritorsioni, da quel giorno in cui i Birra piazzarono la bomba, Sofia fu lasciata in pace, al pari di altri commercianti che seguirono le sue orme: «Ho provato timore, ma con l’aiuto dei carabinieri, dell’associazione anti-racket di Ercolano mi sono sentita difesa. Tutti hanno fatto un grande lavoro, anche dal punto di vista umano. Ancora oggi ci assistono, non ci hanno mai abbandonato. Un’attività straodinaria, di uomini giusti al posto giusto: dalle forse dell’ordine alla magistratura, passando per l’associazione al sindaco di quel tempo. Oggi i familiari di quelle persone arrestate entrano nel mio locale, con educazione. Sono clienti normali, come tutti gli altri. Un consiglio? Denunciate, perché oggi combattere e sconfiggere la camorra è più facile».

I fatti di questi anni hanno riempito le cronache locali e nazionali, il cosiddetto “modello Ercolano” è il simbolo della lotta contro la criminalità organizzata. Forza e decisione, sconfiggendo la paura sulla quale la camorra ha storicamente fatto leva per espandere il suo dominio martoriando il popolo con la promessa di una finta protezione.

 


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