Vele di Scampia, abbatterle è davvero la soluzione ai problemi del quartiere?

Le Vele di Scampia


Costruite a cavallo tra il 1962 e il 1975, per un progetto di Franz di Salvo, architetto siciliano impiantato a Napoli ed attivissimo nel panorama partenopeo, le Vele di Scampia sono ormai un simbolo (negativo) della città.

Realizzate sulla base de l’Unité d’Habitation de Marseille, ipotizzata dall’architetto francese Le Corbusier, con forti ispirazioni al progetto di André Minangoy, che realizzò negli anni ’60 edifici simili sulla Costa Azzurra (oggi case estive di lusso) – le Vele avevano, in realtà, tutti i presupposti per servire al compito che era stato dato all’architetto Di Salvo: riqualificare un’area periferica di Napoli in forte abbandono. Il progetto originale prevedeva grandi spazi verdi oltre numerose infrastrutture (cinema, negozi, aree gioco) che rendessero l’edificio-città ipotizzato su carta indipendente, anche in virtù della vicina autostrada, che di fatto isolava (ed isola tutt’ora) le Vele dal resto di Napoli.

Alla fonte del problema ci fu una scarsissima realizzazione da parte della ditta costruttrice, che per vari motivi (alcuni validi, altri meno) applicò delle modifiche sostanziali al progetto; In primo luogo, la distanza tra gli edifici (dai 10,80 metri del progetto di Di Salvo agli 8.20 attuali), la mancata realizzazione di “spazi comuni” che dovevano servire da ammortizzatore, da un punto di vista prettamente abitativo. L’utilizzo di facciate chiuse, che di fatto nega la luce all’intero edificio. Il risultato di queste inesattezze nella realizzazione sono la causa dell’inabilità delle Vele, oltre ad una lunga storia di disinteresse ed abbandono, sia da parte delle ditte incaricate alla manutenzione, sia da parte dell’amministrazione.

Gli stretti corridoi tra gli edifici, che si snodavano sugli ingressi delle singole abitazioni, dovevano ricordare poeticamente gli stretti vicoli di Napoli, ricreare l’ambiente, il gioco di luce ed ombra che si può respirare nel centro storico della città partenopea – ma nell’atto pratico, per via delle modifiche attuate, quei vicoli dove “si sentono le voci di chi ci abita, gli odori del cibo e nelle belle giornate, su quei ballatoi dove la gente si trattiene a chiacchierare” diventarono troppo stretti per fermarsi, e troppo poco illuminati per percepire se la giornata fosse bella o meno.

Le Vele di Scampia diventarono una trappola, un luogo poco amèno – uscendo di casa, e percorrendo i ballatoi in lamiera (a dispetto di quelli in materiale trasparente proposti nel progetto) l’unico luogo raggiungibile è il deserto di cemento che circonda le strutture, lì dove erano ipotizzati parchi e luoghi verdi, furono altresì scaricati quintali e quintali di cemento grezzo – una piana vuota, solo delimitata dal traffico della vicina autostrada.

Non c’è da sorprendersi, in virtù della loro realizzazione e manutenzione, se le immagini storiche di coppie appena sposate e bambini che giocavano alla base delle monumentali vele si trasformarono in pochi anni nel set di Gomorra, per raccontare la realtà di quella che è la più grande piazza di spaccio di Napoli.

Dal 1998 ad oggi sono state demolite tre delle sette Vele di Scampia. Mentre si preparano gli atti e si raccolgono i fondi all’abbattimento delle altre tre (ufficializzato il 3 marzo 2017) e alla riqualificazione dell’ultima, molti si chiedono se tale decisione sia quella giusta.

A Napoli (come in molte altre parti d’Italia) si è sempre fatto così: si guarda al problema come a qualcosa di pesante, da trascinarsi dietro fino al momento di nasconderlo sotto al tappeto. E’ stato fatto così con Piazza del Plebiscito (bellissima, è vero, ma che serviva nelle intenzioni principali a nascondere il quartiere di Pizzofalcone, altrimenti visibile dal Palazzo Reale) – o per via Toledo, che taglia e “nasconde” i Quartieri Spagnoli.

Demolire le Vele è davvero la soluzione al problema sociale che vive Scampia? E’ giusto distruggere un simbolo di Napoli (sia pure “negativo”) invece che riabilitarlo? Non sarebbe più dignitoso per un progetto tanto pionieristico, che ha fatto tanto parlare di sé, ritrovare luce propria, con un intervento serio di riqualificazione su larga scala?

Il problema delle Vele è che esse rappresentano Scampia proprio perchè sono le uniche cose costruite lì. Non si può pensare ad un quartiere popolare senza offrire alla suddetta popolazione i mezzi per sentirsi tale. Costruire una cattedrale nel deserto non fa di essa luogo di culto, è il sistema che gli gravita intorno a caratterizzarla. Da sole, le Vele, sono ghetto, riqualificate o meno.

A molti (a me di certo), sicuramente meno a chi le Vele le ha vissute per l’aborto invivibile che sono ora, quelle costruzioni mancheranno. Non si tratta di bellezza (perché la bellezza è soggettiva, e sta nell’osservatore scegliere se coglierla o meno) ma sta nel valore simbolico che una possibile riqualificazione ha, e nella necessità di risarcire chi, fino ad ora, è stato costretto (alcuni per necessità, altri per scelta) a vivere in quelle condizioni. Sarà come se un faro si fosse spento su Napoli, lasciandola carente di qualcosa che fino a poco tempo prima l’aveva in parte caratterizzata, perdendo l’occasione di dimostrare a se stessa di poter fare meglio, di poter apprendere dai propri errori.


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