Il secondo risultato è la sfiducia di tutte quelle donne che incrociano sul proprio cammino uomini violenti e che sono costrette ad accettare una condanna a due facce: la rassegnazione o, probabilmente, la morte. Sì, perché in molti di questi omicidi ci sono violenze pregresse, e nel 44,6% di questi casi la vittima aveva già denunciato quello che poi è diventato il suo killer. Ma le istituzioni cosa fanno? Cosa hanno fatto contro i 3.607 casi di violenza registrati nei primi mesi del 2017? In queste 3.607 storie potrebbe esserci un altro numero che accresce la lista, probabilmente c’era quello di Imma, e anche quello di Antonella.
In queste vicende il comune denominatore è l’escalation di violenze che sfocia poi nella tragedia. Ma prima ci sono ossessioni, minacce, maltrattamenti. In mezzo paura, denunce, richieste d’aiuto. Richieste magari non inascoltate ma inconcludenti, incompiute. Fondamentalmente inutili.
E allora che senso hanno le fiaccolate, le marce, gli appelli, se queste donne nel concreto sono abbandonate al proprio destino?
Serve un ascolto attivo delle denunce, servono controlli seri dopo la denuncia, azioni preventive di dissuasione da parte delle forze di polizia sui potenziali criminali, magari anche supporto psicologico per gli stessi, ma soprattutto pene certe e severe sugli omicidi.
E poi, non dimentichiamolo, serve una rieducazione socio-culturale: il maschilismo è un fattore ancora dominante, se non si smantella completamente l’idea della “donna sottomessa” ci sarà sempre qualche uomo che si arrogherà il diritto di toglierle la libertà. E la vita.