Giacomo nacque a Recanati il 29 giugno 1798, figlio del conte Monaldo Leopardi e di Adelaide dei marchesi Antici. Era il primo di sette figli, e sin dall’infanzia mostrò la sua profonda intelligenza e la sua sete di conoscenza. Già da adolescente, però, Giacomo mostrava un disagio forte verso la vita, che trascorreva soprattutto nella biblioteca del padre, a studiare. Furono anni di studio “matto e disperatissimo”, in cui Leopardi imparò alla perfezione il greco, il latino, l’ebraico, il francese, si dedica alla filologia, studia la grande poesia italiana e approfondisce i filosofi illuministi. Quegli anni, però, lo distrussero fisicamente, segnandolo per sempre: cominciarono, così, infatti, i suoi problemi gravi alla schiena e alla vista, e cominciò, di pari passo, la sua rassegnazione alla sofferenza.
L’infelicità, infatti, dopo poco lo spinse alla scrittura della poesia (“dall’erudizione al bello”), e dopo qualche anno iniziò a raccogliere riflessioni e appunti privati, che sarebbero stati poi uniti nello Zibaldone. Nel 1822 Giacomo ottenne dal padre il permesso di trasferirsi dagli zii a Roma, ma la città lo deluse profondamente.
Quando tornò a Recanati, dopo appena un anno, lo travolse la consapevolezza di non poter sfuggire alla propria condizione. Furono gli anni del pessimismo cosmico, che sfociarono prima nello Zibaldone e poi nelle Operette Morali.
Da qui iniziarono i viaggi in giro per l’Italia: Bologna, Milano, Pisa e Recanati, Firenze. Giacomo girò gran parte dello stivale, e nei salotti fiorentini incontrò Vincenzo Gioberti, per poi scrivere i Grandi Idilli, di cui i più celebri sono “La quiete dopo la tempesta” e “Il sabato del villaggio”.
Grazie al gruppo Viesseux, che gli offrì un assegno mensile, Leopardi lasciò per sempre Recanati per Firenze, dove pubblicò la raccolta dei Canti e conobbe Antonio Ranieri. Nel 1832 stese i Pensieri, e nel 1833 si stabilì a Napoli.
Con la città partenopea Leopardi ebbe un rapporto molto altalenante: inizialmente Napoli fu un antidoto al dolore, grazie alle lunghe passeggiate, ai piatti squisiti e all’allegria della gente, ma col peggiorare delle sue condizioni di salute, cambiò anche l’approccio di Giacomo alla città.
La sua insofferenza divenne fortissima: non sopportava le piazze affollate, non sopportava il turbinio di voci e risate. Quello che lo aveva curato, ora aggravava il peso della sua esistenza.
Nonostante le luci e le ombre, Leopardi morì a Napoli, nel 1837, e la sua tomba è oggi custodita al Parco Virgiliano, immenso orgoglio per la città, che ospita i resti di un poeta unico e irraggiungibile.
Fonti: www.giacomoleopardi.it